mercoledì 26 agosto 2015

Zagor Collezione Storica a Colori: La fine della pista (ZCSC185)




Il centoottantacinquesimo numero, che troverete in edicola domani, contiene la conclusione dell’avventura di Zagor con il giovane David Rogers, nonché la prima parte della storia “Il vagone blindato.



IL VAGONE BLINDATO

Palmer, un professionista del crimine, ha radunato cinque specialisti: un killer dai nervi d’acciaio, un pellerossa dalla mira infallibile, uno scassinatore e due ladri di bestiame. Il suo scopo è quello di compiere un furto senza precedenti nella cittadina di Leyton, nella Locust Valley, dove si è radunata un’enorme mandria di “longhorns” in attesa di un compratore, che sta per giungere con il denaro necessario.
Zagor e Cico si trovano lì di passaggio ed incontrano un vecchio amico, il capitano Durrell, a capo di un piccolo contingente di militari con il compito di fare da scorta al treno che trasporta i soldi per l’acquisto della mandria. Grazie a Durrell, Zagor fa la conoscenza anche di Mister Steel (così soprannominato perché dotato di una protesi di acciaio al posto del braccio sinistro e di una benda di ferro che gli copre uno degli occhi), il padrone di mezza Locust Valley e della compagnia ferroviaria.
Durante la notte la banda di Palmer, provocando uno “stampede” della numerosa mandria per le vie della cittadina, riesce a rubare il treno col vagone blindato, ma vengono inseguiti da Zagor. Dopo un furioso scontro a bordo del treno sul quale è riuscito a salire, Zagor ha la peggio ed i banditi si allontanano credendolo morto.
Giunti nella città fantasma che dovrebbe fare loro da rifugio, i rapinatori vengono massacrati da un gruppo di uomini comandati da Fraser, il braccio destro di Mister Steel! La rapina è stata infatti architettata da quest’ultimo, i cui affari non sono poi floridi come appaiono. Solo Palmer viene risparmiato, perché anch’egli in combutta con Mister Steel. Soccorso da Cico, Zagor ritorna a Leyton e si imbatte fortunosamente in Palmer, riconoscendo in lui uno dei rapinatori della notte precedente. Scoperto il coinvolgimento di Mister Steel e di Fraser nella rapina, Zagor e Cico vengono catturati. Zagor però riesce a liberarsi, a sgominare gli avversari, a recuperare la refurtiva e ad assicurare Mister Steel alla giustizia.

 Le prime pagine di questa storia tipicamente western di Jacopo Rauch sono di carattere introduttivo, dove l’ambientazione ed i personaggi vengono delineati molto bene. Particolarmente azzeccate le figure dei componenti della banda dei rapinatori “specialisti” e quella di Mister Steel, che fin da subito lascia trasparire qualcosa di poco chiaro nella sua persona.
Ottima anche la descrizione della cittadina di frontiera, con tutto ciò che le ruota attorno: la ferrovia, gli allevatori, etc. Quindi si entra subito nel vivo della vicenda. La scena dello “stampede” distruttivo per le vie della città è portentosa.
Molto movimentato e ben congegnato l’inseguimento dei banditi ad opera di Zagor e lo scontro sul treno in fuga. Davvero spiazzante il colpo di scena del massacro nella città fantasma (credo nessuno dei lettori se lo aspettasse). E se il coinvolgimento di Mister Steel nella vicenda si poteva intuire abbastanza (troppo caratterizzato come personaggio per non essere un “cattivo”), tuttavia la scoperta da parte di Zagor del suo ruolo “negativo” non viene lasciata come semplice colpo di scena ma dà origine ad un susseguirsi di scontri sempre in crescendo, sino a giungere ad un finale “aperto” (il solo ferimento invece dell’uccisione dell’avversario lascia aperta la strada per un suo eventuale ritorno futuro…).
Il giudizio sui disegni di Gianni Sedioli (qui alla sua seconda prova sulla serie regolare) è complessivamente positivo. Il suo tratto essenziale è adatto ad un’ambientazione puramente western come questa e mi ha evocato in un certo qual modo i disegni del Donatelli ultima maniera… E scusate se è poco!

giovedì 20 agosto 2015

Zagor Collezione Storica a Colori: Terre selvagge (ZCSC184)



Il centoottantaquattresimo numero in edicola oggi contiene la conclusione dell’avventura di Zagor con i trappers di Fort Arrow, nonché la prima parte della storia “Huron!.
HURON!

Una banda di feroci Huron, guidata da un uomo bianco privo di un occhio, vuole la morte del giovane David Rogers. Lui ne ignora il motivo, essendo stato colpito da amnesia per un colpo di tomahawk. Ma, per sua fortuna, s’imbatte in Zagor e Cico. Lo Spirito con la Scure decide di aiutarlo nella lotta sia contro gli spietati assassini che lo inseguono sia contro dei traditori che tramano nell’ombra.
L’obiettivo da raggiungere è il Dott. Ormond a Saint Louis, che potrebbe aiutare il giovane a recuperare la memoria perduta. Passando per le praterie del Kentucky, la città di Saint Louis, un battello sul Mississippi e l’accampamento dei feroci Mohaves, la vicenda termina felicemente con la sconfitta di tutti gli avversari e il recupero della memoria da parte di David, la cui vera identità sarà una sorpresa per tutti.
Quando mi sono immerso nella lettura di questa storia di Mauro Boselli mi è sembrato di tornare al passato, alla mia fanciullesca e spensierata lettura dei primi numeri della serie: troviamo Zagor nella “sua” Darkwood, con agguati nella foresta, indiani feroci, loschi individui dalla pelle bianca, la discesa del fiume in canoa, Pleasant Point, Forte Pitt, bellissimi paesaggi...
E ancora: una memoria perduta, un intrigante mistero da svelare, Cico del tutto autonomo nell’affrontare i pericoli, l’assalto al trading post, Tonka, Molti Occhi, il colonnello Perry e – “ritorno” graditissimo – il coltello da caccia di Zagor che gli pende dalla cintura dietro la schiena!!!
L’avventura si legge tutta d’un fiato, nonostante a tratti il ritmo della sceneggiatura rallenti visibilmente, ma senza dare mai fastidio. Nella seconda parte usciamo dalle foreste settentrionali ed entriamo nelle vaste pianure del Kentucky: la trama volge temporaneamente al più classico western con l’assalto dei pellerossa alla diligenza; quindi, lasciate le pianure, i nostri eroi giungono in città, a Saint Louis, e la vicenda si fa più intricata, con l’introduzione di nuovi personaggi (Lady Millicent, scaltra e seducente, e l’attore Tundy, sprovveduto quanto disonesto), anche se non sempre le situazioni sono del tutto plausibili.
Nella parte finale lasciamo nuovamente la città e ci imbarchiamo su un battello a ruota, uno di quei bestioni galleggianti sui quali Zagor e Cico hanno già avuto occasione di salire (ad es. ne I predoni del fiume e Magic-Bat) ma mai in prima classe!!! Qui Zagor ci sorprende tutti e si permette una cabina di lusso per dare finalmente una grossa soddisfazione all’amico Cico, che lo ricambia fraternamente con un abbraccio tenero e commosso, seppur virile.
Poi la trama torna ad essere incalzante: Lady Millicent si “rivela” la perfida Myranda (con una trasformazione - sottolineata anche visivamente da Piccinelli - degna di un Dr. Jeckyll/Mr. Hyde) e tutto sembra precipitare con il nuovo rapimento di David. Affiancati dal trapper Cameron, Zagor e Cico tornano sulla terraferma e qui abbiamo la fortuna di penetrare nell’accampamento dei Mohaves per uscirne nuovamente con un’ultima fuga nella notte... Tornati sul battello, assistiamo al classico “arrivano i nostri”, al recupero della memoria da parte di David ed al beffardo destino di Myranda...
In definitiva, siamo al cospetto di un’avventura davvero coinvolgente. Lo sceneggiatore riesce ad imbastire una buona trama, fatta di continui colpi di scena degni del miglior feuilleton (o della migliore Dime Novel, se preferite), pur basandosi su un soggetto sfruttato mille altre volte in letteratura, sia scritta che disegnata (il giovane rampollo ingiustamente costretto all’esilio, questa volta gravato da amnesia e proveniente dalla Syldavia – nome che cela un evidente omaggio di Boselli al personaggio di Tintin di Hergé).
La vicenda scorre via piacevolmente, in un susseguirsi di ambientazioni differenti, con una grande varietà di personaggi, sia di rilievo che di contorno, molto ben caratterizzati... fatto salvo, forse, proprio il giovane David che, a causa dell’amnesia e del fatto di essere sempre bisognoso di riposo, sembra più “subire” gli avvenimenti che parteciparvi. Azzeccato il personaggio di Myranda, vera e propria femme fatale pericolosissima, che si merita di tutto cuore la sorte riservatale da Boselli, ma alla quale sappiamo già che saprà egregiamente far fronte...
Semplicemente fantastico l’esordio di Alessandro Piccinelli, particolarmente bravo nel disegnare i paesaggi della vecchia frontiera ed il cui stile sembra affinarsi sempre di più man mano che la storia progredisce (anche il suo Cico – inizialmente dotato di un faccione poco caratteristico – nell’ultima parte della storia è graficamente convincente).

mercoledì 12 agosto 2015

Zagor Collezione Storica a Colori: Il ragazzo rapito (ZCSC183)


Il centoottantatreesimo numero in edicola oggi contiene la conclusione dell’avventura di Zagor con il samurai Takeda, nonché la prima parte della storia “Là dove scorre il fiume.


I TRAPPERS DI FORT ARROWS

Zagor e Cico stanno indagando su una banda di predoni che assalta le chiatte sui fiumi di Darkwood e che ha rapito il giovane Jimmy, figlio del mercante di Boston Johnson, per chiederne il riscatto. Gli attacchi sembrano essere opera degli indiani Seneca di Lontra Rossa, ma qualcosa fa sospettare che si tratti di bianchi travestiti proprio allo scopo di far ricadere la colpa sui pellerossa.
I nostri giungono a Fort Arrow, un avamposto costruito da un gruppo di trappers dove si trova anche una vecchia conoscenza di Zagor: Kirk Wheeler. L’uomo anni prima salvò la vita allo Spirito con la Scure quando era un adolescente e non aveva ancora indossato i panni del giustiziere, per cui Zagor è felice di ritrovare nel capo del fortino un vecchio amico.
Alcuni dei trappers, tuttavia, non sono entusiasti dell’arrivo del Signore di Darkwood e subito cominciano a tramare per ucciderlo: non è difficile intuire che i responsabili degli attacchi ai battelli siano proprio loro! Dopo un attentato alla sua persona, Zagor ha la certezza di essere finito nel covo dei tagliagole che stava cercando. Kirk si mostra stupito dell’accaduto e offre a Zagor la collaborazione di alcuni suoi uomini perché lo aiutino a catturare coloro che lo hanno attaccato e sono poi fuggiti nella foresta.
Durante l’inseguimento, invece, proprio gli stessi trappers che lo accompagnano cercano di uccidere lo Spirito con la Scure, fallendo miseramente. Zagor e Cico individuano da soli la grotta sulle montagne dove il ragazzo è tenuto prigioniero e lo liberano. Intanto al forte, Kirk viene rinchiuso dai suoi stessi uomini in una baracca: lo scopo è quello di attirare Zagor di nuovo all’interno della palizzata e catturarlo.
Scesa la notte, il Signore di Darkwood entra nel forte e libera Kirk, portandolo poi con sé nel luogo in cui ha lasciato il giovane Jimmy. Ecco però che si consuma l’ennesimo tradimento: l’imprigionamento di Kirk era tutta una messinscena per far cadere Zagor in trappola! In realtà il capo dei trapper è corrotto esattamente come tutti gli altri. Zagor viene catturato e messo dai trappers in un recinto a combattere con un orso per divertirsi sadicamente.
Scampato dalle grinfie del plantigrado, lo Spirito con la Scure viene definitivamente salvato dall’intervento degli indiani Seneca di Lontra Rossa convinti da Cico ad aiutare l’amico. Lo scontro finale tra Zagor e Kirk si risolve con la caduta di quest’ultimo in un burrone.

Questa sceneggiatura di Luigi Mignacco è nel complesso buona, specie in alcune sue parti. In particolare, mi pare ben fatta la ricostruzione in flashback del passato di Zagor, al punto che questa avventura potrebbe quasi considerarsi un buon punto di partenza per un neofita che volesse iniziare a leggere le serie.
La storia è lineare, piacevole, densa di azione, con spunti interessanti di riflessione sul tema dell’amicizia tradita. Mignacco sembra voler rispolverare lo Zagor anni 60/70: il protagonista usa raramente le armi da fuoco ma molto di più la scure, non sbaglia un colpo, è forte, valoroso, determinato, e soprattutto agisce spesso in solitaria o tutt’al più con Cico (sempre funzionale alla storia), senza altri comprimari.
I trappers/predoni che fanno ricadere la colpa sugli indiani non sono una novità, certo, ma in questo caso è presente quell’elemento in più, rappresentato da Kirk, vecchio amico di Zagor al quale aveva salvato la vita, la cui colpevolezza l’autore riesce a mascherare bene fino all’ultimo agli occhi del lettore.
Questa storia segna l’esordio ai disegni di Marcello Mangiantini. La sua opera prima zagoriana può dirsi complessivamente positiva: le ambientazioni, specie quelle della foresta, le sequenze notturne al forte e le scene di combattimento sono molto belle, mentre le anatomie dei personaggi non sono sempre precise e il volto di Zagor non sempre è azzeccato (a volte è fin troppo fanciullesco); tuttavia nella seconda parte della storia si notano significativi miglioramenti in un piacevole crescendo.

mercoledì 5 agosto 2015

Zagor Collezione Storica a Colori: Il sentiero del Ronin (ZCSC182)



Il centoottantaduesimo numero, che troverete in edicola domani, contiene la conclusione dell’avventura di Zagor con il duca di Greenshire, nonché la prima parte della storia “L’uomo venuto dall’oriente”.


L’UOMO VENUTO DALL’ORIENTE

Il samurai che non segue il suo signore nella morte diventa un ronin: un guerriero senza padrone, la più triste delle condizioni per chi vive secondo il codice d’onore del Bushido. Eppure, il giovane Takeda non si unisce ai samurai del principe Minamoto che fanno seppuku, il sacrificio rituale dei giapponesi. Il più anziano dei suoi compagni gli affida infatti una missione da compiere: trovare e uccidere l’uomo che ha sconfitto il loro signore, per vendicarne la morte. E per Takeda il bersaglio da colpire, diventato l’unico scopo della sua vita, ha un nome preciso: Zagor! Il giovane samurai lascia quindi il Giappone alla volta della lontana America.
Nel frattempo lo Spirito con la Scure è tornato alla sua capanna nella palude, dove trova ad attenderlo una missiva del suo vecchio amico ing. Robson, che chiede aiuto per risolvere il mistero di alcuni sabotaggi alla nuova linea ferroviaria che sta costruendo. Zagor e Cico si rimettono subito in viaggio.
Tempo prima Takeda si era arruolato fra i lavoranti alla ferrovia di Robson dopo essersi innamorato della bellacinese Jeng, per cui quando Zagor giunge in soccorso dell’ingegnere trova il samurai già lì ad attenderlo. Ma non è soltanto da Takeda che Zagor deve guardarsi. Mentre il giapponese si prepara ad affrontarlo per compiere la sua vendetta, infatti, altri misteriosi nemici tramano nell’ombra e gli attentati si ripetono mettendo a rischio la vita degli operai cinesi.
Quando lo Spirito con la Scure incontra finalmente Robson questi si dimostra stupito che Zagor e Cico siano venuti su sua richiesta perché lui non ha mai inviato nessuna lettera (in realtà spedita da Takeda); in ogni caso, l’ingegnere è felice di avere al suo fianco Zagor che potrà aiutarlo a togliere le castagne dal fuoco...
Zagor scopre con uno stratagemma che i responsabili dei sabotaggi sono alcuni guardiani del cantiere, che hanno nel frattempo rapito la bella Jeng. Il giustiziere di Darkwood interviene per liberarla ma la ragazza viene colpita da un proiettile vagante. Interviene anche Takeda che, però, viene fatto prigioniero. Dopo aver posto in salvo Jeng, Zagor salva anche la vita di Takeda, uccidendo i vigilantes ad eccezione di uno che dovrà rivelare chi sono i mandanti dei sabotaggi alla ferrovia.
A questo punto Takeda, sebbene turbato perché deve uccidere l’uomo che gli ha salvato la vita, prende in pugno la sua takana ed inizia l’assalto contro Zagor. Fortunatamente Jeng riesce a far desistere l’amato dal suo intento, almeno temporaneamente.
Il sorvegliante sopravvissuto vuota il sacco: i mandanti degli attentati sono l’ing. Webster e il suo assistente Dwight, responsabili dei lavori di costruzione del tronco ferroviario al quale dovrebbe ricongiungersi quello di Robson. Il loro fine era quello di screditare quest’ultimo per aggiudicarsi anche il suo lavoro.
Nello scontro finale, Zagor uccide Dwight e mentre sta per essere colpito a morte da Webster viene a sua volta salvato da Takeda, che salda così il suo debito d’onore.
Il bushido tuttavia non permette a Takeda di recedere dalla missione che gli è stata assegnata, però ora è prioritario per lui prendersi cura di Jeng e del loro figlio che porta in grembo; questo compito mette in secondo piano la missione precedente. Takeda si allontana ringraziando Zagor per avergli mostrato un’altra strada.


L’avventura si riallaccia ad una storia di Bonelli/Nolitta (Arrivano i samurai) apparsa sui nn. 116, 117 e 118 della serie regolare.
Moreno Burattini parte da questa vecchia vicenda per realizzare una storia che parla sì di vendetta ma anche di incontro/scontro tra diverse civiltà (l’americana e la giapponese).
Fin dalle prime pagine lo sceneggiatore alterna la narrazione “in tempo reale” con brani tratti da testi storici giapponesi, descrivendo così un samurai che, giunto in America, conosce una realtà ben diversa da quella a cui è abituato e di conseguenza arriva al termine della vicenda, indeciso fra il cuore e la spada, fra sentimenti d’amore e riconoscenza e la sua filosofia guerriera, a mutare lo scopo della sua vita.
A conferma del cambiamento di prospettiva, nella tavola conclusiva Takeda si accorge che esiste un orizzonte più vasto di quello entro i limiti del quale aveva improntato la sua esistenza, consapevole delle sue responsabilità di futuro padre e dell’ammirazione che prova per lo Spirito con la Scure, non più un assassino (come lo credeva) ma un uomo d’onore, giusto e generoso.
In tal modo Burattini caratterizza Takeda diversamente da Minamoto: laddove questi era il samurai per eccellenza, crudele e spietato, che non può essere scalfito da nessuno scrupolo, Takeda è anch’egli fedele al suo codice ma un uomo “vero”, con dubbi e fragilità, come tutti noi. Queste sfumature ne fanno un personaggio molto dinamico, che alla fine della storia abbandona la sua missione ma non definitivamente, tanto che il suo ritorno è già previsto in una futura avventura sceneggiata da Jacopo Rauch e sempre disegnata da Massimo Pesce.
E a proposito di quest’ultimo, v’è da osservare che i suoi disegni chiari e dinamici rendono ottimamente le numerose scene d’azione e si rivelano appropriati al tipo di avventura, confermando inoltre la sua predilezione per le figure femminili. Peccato per alcune vignette (soprattutto in campo lungo) che appaiono vergate frettolosamente...
Come in altre occasioni, chiudo riportandovi alcuni interventi di Moreno Burattini su questa storia, risalenti al 2005/2006 e postati sul Forum www.spiritoconlascure.it.

In merito al fatto che il samurai approda a New Orleans anziché in California (la via più breve per venire in America dal Giappone:
Bisogna tenere conto del fatto che ai tempi di Zagor non era possibile attraversare il continente nordamericano da ovest verso est (e nemmeno da est verso ovest). Ovvero, era possibile per gente eroica e ardimentosa (la spedizione di Lewis & Clark èdel 1804, e anche Zagor ne ha seguito le tracce in una storia di Toninelli), ma non esistevano piste, strade, ferrovie. Al di là del Mississippi c’era il territorio indiano, inesplorato e sconfinato. Non si sapeva dove fossero i valichi per attraversare le Montagne Rocciose, dove fossero i pozzi nei deserti. C’erano gli "ostili" (così venivano chiamati i pellerossa in certe cronache dell’epoca) che uccidevano i viandanti. Per portare le carovane in California o comunque sulla costa del Pacifico si aprirono delle piste, a prezzo di tanti morti e tante sofferenze, solo nella seconda metà del secolo. Dunque, nessuna strada fra la California e la Costa Est, non per gente disarmata con donne e bambini al seguito. Gli immigrati che giungevano dalla Cina di solito sbarcavano in Cile (le rotte attraverso il Pacifico prevedevano spesso scali cileni). Poi si poteva circumnavigare il Sud America oppure risalire fino al Messico, e da Veracruz prendere una nave per New Orleans. Appunto”.

In merito all’ispirazione del film di Terence Young “Sole rosso” (1972) con Toshiro Mifune, Charles Bronson, Alain Delon e Ursula Andress:
Sole Rosso è stato uno dei primi film che io ho visto al cinema, mi ci portarono i miei genitori quando io avevo dieci anni. Credo anche che le mie turbe erotiche (si sa che sono un cultore dell’erotismo) derivino delle scene di nudo con Ursula Andress (che fecero pentire i miei genitori dall’avermi portato al cinema). La copertina di Il cuore e la spada è chiaramente ispirata alla scena finale di "Sole Rosso", quando la katana dell’imperatore viene fatta ritrovare lungo i binari della ferrovia. Devo anche segnalare che il personaggio interpretato da Alain Delon in "Sole Rosso" ha ispirato uno dei cattivi in una mia vecchia storia, Nodo Scorsoio. Questo a dimostrazione del debito che ho verso quel film, assolutamente consigliato a tutti”.

In merito al fatto che Zagor viene quasi battuto da Takeda ed alle motivazioni con cui quest’ultimo risolve il suo conflitto interiore:
Circa lo Zagor in difficoltà, faccio notare alcune cose. Un eroe è tanto più grande e tanto più si è partecipi delle sue vicende quanto più soffre. Rocky Balboa, per fare un esempio, non è Ivan Drago. È uno che ne busca tante, che viene gonfiato di botte, che poi reagisce e solo soffrendo arriva alla vittoria. Dunque se Zagor fosse uno spaccamontagne che non soffre mai, le sue storie non sarebbero divertenti. Invece anche Nolitta metteva Zagor in difficoltà, un esempio su tutti nei combattimenti contro Supermike. Il problema è fare in modo che quando Zagor è in difficoltà non lo sia per dabbenaggine, non sembri stupido, non si comporti da idiota. Ma se è in difficoltà perché il suo avversario è fortissimo, la cosa dà sapore alla storia. Nel caso di Takeda abbiamo visto tutti la sua abilità straordinaria di combattente. Tutti gli scontri del samurai con gli avversari servivano a fare in modo che il lettore sapesse quant’era letale, e si chiedesse: che accadrà quando incontrerà Zagor? La scena che più mi è piaciuto scrivere è quando Zagor, ignaro, riconsegna la katana a Takeda dopo averlo salvato. Qualcuno si è chiesto perché Zagor non noti il costume da samurai. A parte il fatto che Takeda ha un costume "agile" e non del tutto uguale a quelli visti da Zagor ai tempi di Minamoto, Zagor sa che Takeda è un "buono" perché la ragazza Jeng (che non è a conoscenza dei propositi del samurai) gli ha chiesto di salvarlo e gli ha spiegato che se lo merita. Zagor non è tenuto a prendere per oro colato tutto quello che dice una ragazza, ma il contesto depone a favore di Takeda. Come immaginare che l’orientale, a cui lo Spirito con la Scure salva la vita, voglia ucciderlo appena salvato? Il fatto che sia armato e abbigliato come un guerriero orientale (peraltro là dove ci sono centinaia di orientali, gli operai della ferrovia) significa soltanto che è un guerriero orientale, e non è che il nostro eroe debba temere tutti i guerrieri orientali, quasi per un pregiudizio razzista, solo perché sono guerrieri orientali. Se Zagor avesse salvato un guerriero pellerossa gli avrebbe restituito la sua lancia, se non ci fosse niente che facesse pensare a una minaccia. Idem con Takeda. Quando però Takeda lo attacca, Zagor non viene quasi sconfitto. Si difende. Non ha un’arma adatta, solo il fucile che non vuole usare perché spera di far riflettere il suo avversario, non intende uccidere, non vorrebbe neppure combattere se potesse, non ha nulla contro il samurai, anzi ha promesso a Jeng di salvarlo. Dunque cerca di parlare al suo avversario. Ecco perché questi sembra prevalere. Quando Jeng interviene, non salva la vita a Zagor: interrompe semplicemente il combattimento. Se Jeng non fosse intervenuta, Takeda avrebbe abbassato la spada ma Zagor avrebbe potuto rotolarsi di fianco e schivare di nuovo, non lo sappiamo, ma possiamo ipotizzare che il nostro eroe se la sarebbe cavata comunque. Dunque Zagor in difficoltà sì davanti a un grande avversario, ma non "quasi" sconfitto”.

Una volta Isaac Asimov andò in incognito a una conferenza dove un critico letterario commentava i suoi racconti, e sentì dire che una certa cosa da lui scritta alludeva a certi significati, o faceva intuire certe verità. Al che lui si alzò divertito e disse: "Io sono l’autore e posso assicurare che non pensavo a nulla del genere quando ho scritto quella cosa". Il conferenziere non si scompose e disse: "Perché, scusi, per il solo fatto di essere l’autore si illude forse di poter capire tutti i significati di quello che scrive?".
Un autore scrive spinto da mille cose che ha detto, a volte solo per sbarcare il lunario, poi l’opera è affidata ai lettori e ognuno ne tragga le conclusioni che crede. Se può servire il mio parere, Takeda non rinuncia a vendicarsi e neppure rimanda la vendetta, e comunque non fa quello che fa (o non fa) solo perché gli è rimasta incinta la ragazza. Takeda, come si dovrebbe capire da un balloon dell’ultima tavola, vede un orizzonte più vasto dove la vendetta resta un piccolo particolare, un elemento di un tutto, dove ci sono cose più importanti e meno importati da valutare, e l’importanza è data dal punto di vista da cui si guarda (il posto di ciascuno nella ruota della medicina, direbbe Shyer).
Quando i gerarchi nazisti furono processati a Norimberga si difesero dicendo che avevano solo eseguito degli ordini. Ecco, ci sono ordini che a volte non si devono eseguire.
Il tenente Woodward, ne "La lunga marcia", dice a un certo punto che i grandi uomini si dividono in due categorie: quelli che comandano e quelli che non obbediscono. Takeda ha avuto un incarico, una missione. Per lui è il credo. È stato educato a obbedire, fino in fondo. Per noi sembra facile dire: non obbedire, non vendicarti. Sarebbe stato assurdo se Takeda avesse potuto così facilmente liberarsi dai condizionamenti. Takeda però compie un percorso in cui si confronta con una realtà diversa da quella che conosce, e capisce la portata di altri valori oltre a quelli del Bushido. Da uomo orientale da ragiona secondo percorsi diversi dai nostri, gli serve un escamotage per non tradire ciò in cui ha sempre creduto. Anche perché c’è del buono anche nei suoi principi. Non abiura tutto, non rinnega i suoi maestri, fa la scelta più intelligente (secondo me): si adatta, anziché trasformarsi. Trova negli stessi insegnamenti dell'Hagakure il modo per adeguarsi alla nuova realtà, esterna e interiore. In pratica: solo gli ottusi applicano le regole alla lettera, senza riflettere sul loro significato (e applicare una regola significa prima di tutto agire in un certo modo anziché in altro, dunque relazionarsi e interagire con la realtà, trasformare un principio in un fatto). Poi, tutto scorre, le cose cambiano, e il punto di vista da cui si valutano i fatti della vita si modifica. Come la valutazione dell’importanza delle cose, della loro priorità. Diceva qualcuno che invecchiare è come scalare una montagna: più sali più il respiro di fa affannoso e le gambe cedono, ma quanto si allarga il panorama! Io che sono nel secondo tempo della vita confermo che è vero. Anch’io, come Takeda, credo di essere lo stesso di tanti anni fa, non rinnego il mio passato, ma sono indubbiamente molto diverso (secondo me, migliore - qualcuno potrebbe sostenere il contrario, però): ho un mio personale Hagakure fatto da tante citazioni di tanti scritti, ma lo interpreto in modo diverso da un tempo e soprattutto oggi sottolineo come importanti certe frasi diverse da quelle di una volta
”.

martedì 4 agosto 2015

Resurrezione! Genesi di una copertina



Vi siete mai domandati come nasce una copertina di Zagor?

A volte in modo molto semplice, come dimostrano queste istruzioni
di Moreno Burattini a Gallieno Ferri
per la copertina del n. 602...



...partendo da una vignetta della storia
(in questo caso ad opera di Sedioli & Verni)
poche ed essenziali parole di Moreno
sono state più che sufficienti perché Gallieno
si esprimesse al suo meglio
con questo risultato:



 Il tutto, in esclusiva su questo blog!!!
Ciao a tutti e alla prossima!

sabato 1 agosto 2015

Bane Kerac: un serbo alla corte di Darkwood





Branislav "Bane" Kerac (nato a Novi Sad il 7 settembre 1952) è un popolare sceneggiatore e disegnatore di fumetti serbo. Fra i suoi lavori principali si possono citare “Poručnik Tara”, “Kobra”, “Cat Claw”, “Tarzan”, “Il Grande Blek”, “Balkan Ekspres”, “Ghost”, “The Black Pearl” e “Martin Mistere”.
Si è cimentato con il disegno sin da quando aveva 4 anni ed un artista amico di famiglia, avendo intuito le sue potenzialità, gli ha insegnato i primi rudimenti, con il risultato che mentre i sui amici giocavano a pallone egli stava chino sul tavolo da disegno.
I suoi modelli ispiratori sono stati soprattutto Harold Foster, Jesus Blasco, Sergio Tarquinio e tutta una serie di disegnatori jugoslavi.
Il suo vero debutto professionale è avvenuto nel 1989 con il fumetto Cat Claw, diffuso in tutto il mondo, che gli ha ufficialmente conferito lo status di fumettista di successo.
A riconoscimento di tale qualifica, è stato offerto a Bane di realizzare un fumetto per un album antologico pubblicato in occasione della caduta del muro di Berlino e pubblicato contemporaneamente in 14 lingue. Se si pensa che gli altri partecipanti al progetto sono stati Bill Gibbons, Enki Bilal, Moebius... si può dire che Bane si è trovato in ottima compagnia!

Per noi zagoriani Bane Kerac è diventato particolarmente importante da quando ha cominciato ad essere diffusa, in rete e negli incontri ufficiali delle varie mostre e fiere del fumetto, la notizia che il disegnatore serbo avrebbe realizzato un albo speciale di Zagor dedicato al passato di Guitar Jim.

Io ebbi occasione di sentir parlare di Bane Kerac per la prima volta proprio da Moreno Burattini il quale, di ritorno da una sua trasferta in Croazia, mi mostrò questo volume di Tarzan realizzato da Bane e mi confidò: “Questo è un autore al quale vorrei far disegnare Zagor!”. Era il giugno dell’anno 2012...

 

Ed ecco che solo qualche mese dopo, nell’ottobre 2012, potevo ammirare le prime matite di Bane Kerac al lavoro proprio su Zagor, nonché alcune tavole inchiostrate e poi modificate per la versione definitiva...

  
 
  
  

Il lavoro del disegnatore proseguiva e così, quasi due anni dopo, nel giugno 2014, avevo la possibilità di visionare altre tavole da lui realizzate... ma ancora letterate in linga serba!!!

 
 
 
 

Nel settembre 2014, poi, Bane ha avuto la bontà di volermi dedicare un suo disegno di Zagor e credo – all’epoca – di essere stato uno di pochi, se non addirittura l’unico fan italiano di Zagor a possedere un suo disegno originale!!!

 
 

Oggi è finalmente uscito in edicola il  Color Zagor n. 3 realizzato da Bane Kerac su sceneggiatura di Moreno Burattini che narra il passato di Guitar Jim... divertitevi nella lettura!!!


P.S.
Qui sotto potete vedere l’originale del disegno riprodotto a pag. 5 dell’albo...