giovedì 22 settembre 2022

VERSACCI – 365 epigrammi

Dal Vocabolario Treccani: “Versaccio /ver’satʃ:o/ s. m. [pegg. di verso²]. - [deformazione volontaria del volto o altro gesto rivolto ad altri in segno di disprezzo o derisione: fare versacci all'insegnante] ≈ (fam.) boccaccia, (fam.) linguaccia, smorfia, verso, [sarcastico, cattivo] ghigno, [derisorio] sberleffo”.

Se durante la vostra giornata avete un poco di tempo a disposizione e volete passare qualche minuto di divertimento e relax leggendo qualcosa che, però, in taluni casi abbia anche l’occasione di farvi riflettere, allora non avete che da prendere in mano “Versacci – 365 epigrammi” l’ultimo libro di Moreno Burattini.

Edito da Cut Up Publishing in una elegante edizione cartonata di pregio, con una copertina disegnata da Oscar Scalco e con all’interno illustrazioni di James Hogg, non contiene in realtà (o per lo meno, non solo) dei versacci così come definiti dal vocabolario di cui sopra.

Questo è innanzitutto un libro di epigrammi.

L’epigramma è un breve componimento poetico che si esaurisce in pochi versi pungenti, per lo più ironici o satirici, con cui si cerca di indurre il lettore al riso ma anche alla riflessione.

È proprio questa la forma espressiva scelta da Moreno Burattini, che tutti noi zagoriani ben conosciamo, per continuare a dar sfogo alla sua vena caustica, ironica e poetica al tempo stesso, espressa attraverso testi folgoranti nella loro brevità.

I temi affrontati sono moderni e contemporanei, ma in fondo la fonte di ispirazione è sempre quella di Callimaco e di Marziale: la condizione umana osservata nel suo dipanarsi nella vita quotidiana.

Se la qualità di questi versi non pretende di competere con i classici greci e latini, un paragone con i poeti estemporanei popolari e illetterati (di ogni epoca) ci può stare.

Del resto, le rime di Burattini nascono proprio come estemporanee, per dar vita a una sfida fatta con se stesso: pubblicare su Twitter un epigramma al giorno per un anno di fila. E questa sfida è stata vinta dall’autore tra il maggio 2020 e il maggio 2021: dunque, 365 epigrammi in fila.

Perché, ci si potrebbe domandare, proprio epigrammi e non, per esempio, sonetti o ottave?

La risposta è semplice: perché le regole di Twitter impongono un massimo di 280 caratteri per ogni messaggio, quindi anche i componimenti burattiniani non dovevano superare quella lunghezza. L’epigramma, per sua natura, è caratterizzato dalla brevità e dall’incisività. In più, volendo Moreno dilettare se stesso e dilettare i suoi lettori con rime per lo più argute e facete, dedicarsi a questo genere poetico è stata per lui una scelta inevitabile.

Come ha spiegato l’autore in uno dei suoi blog, la scrittura dei Versacci è sempre stata più o meno improvvisata: la sera, prima di dormire, cercava di comporre l’epigramma del giorno, sperando di indovinare subito l’argomento, le rime, il tipo di verso (senario, settenario, ottonario, novenario, decasillabo, endecasillabo, dodecasillabo…) e la ritmica degli accenti. Qualche volta il parto si rivelava felice, in altri casi la composizione nasceva zoppicante. In ogni caso, si è sempre trattato di versi estemporanei, e di questo devono tener conto gli esegeti che volessero contestare la correttezza metrica di questo o quell’epigramma.

I temi trattati sono i più disparati, ma ve ne sono alcuni che ricorrono più di altri: gli animali, l’alimentazione/dieta, i libri, l’amore e la morte. Il “tono” è soprattutto umoristico, arguto, goliardico, ma spesse volte il lettore è portato anche a riflettere e ragionare… magari anche solo per dissentire dal pensiero espresso dall’autore in quel determinato epigramma!

La pubblicazione contiene anche una parodia dell’Eneide, intitolata Eneode, un poema epico e divertente composto da venti canti in endecasillabi, già contenuta nel suo precedente libro Facezie, ma qui corredata dalle illustrazioni di James Hogg.

Per darvi l’idea di quali tipi di componimenti troverete nel libro, ve ne propongo tre, scelti tra quelli (moltissimi) che più ho apprezzato:

Un posto nel mondo

Una cosa nella vita

la si deve proprio fare,

in discesa o in salita,

ed è quella di viaggiare

in continuo girotondo,

stando a zonzo per il mondo.

Ma un posto devi avere,

dopo aver spaziato intorno,

dove metterti a sedere,

dove a casa a far ritorno.


Persone che lasciano il segno

Ci sono per tutti, nella vita,

persone che hanno lasciato il segno,

appoggiandoci sopra le dita

o facendoci dentro un disegno.

Sono quegli scrittori che più

hai amato e continui ad amare

i cui libri stampati anche tu

hai nel cuore e ti sanno parlare.

 

L’invenzione più perfetta

Non si guasta mai con niente

non consuma la corrente

invenzione più perfetta

mai fu fatta e benedetta

sia per sempre la memoria

(che il Signore l’abbia in gloria)

del grand’uom, grande intelletto

che per primo inventò il letto.


                        Qui sotto, invece, trovate i link al mio canale Youtube dove ho caricato due brevi clip da me registrate nelle quali Moreno Burattini legge altri due dei suoi “Versacci”:

 https://youtu.be/MxIWmtRj_Uo

https://youtu.be/bVAzQjWOS1Q

                         Concludo con una curiosità che forse tutti non sanno: se l’acquirente del libro chiede una dedica all’autore sulla propria copia, questi sarà ben lieto di accontentarlo e lo farà… in rima!

Questa è la mia dedica:

 


martedì 20 settembre 2022

UNA RAGAZZA IN PERICOLO (Zagor Gigante 685/686)

 Jenny, una delle tre ragazze di Pleasant Point, viene fatta prigioniera e portata via dagli uomini agli ordini di qualcuno che ha interesse ad attirare Zagor lontano da Darkwood perché non ostacoli un suo progetto criminale, proprio mentre fra lei e lo Spirito con la Scure sembra nascere un sentimento che va oltre l’amicizia… Zagor si getta sulle tracce dei criminali!

Mentre Jenny, gravemente ferita, lotta tra la vita e la morte, Zagor deve fermare Nathan Kilgore, il trafficante d'armi che ha fatto rapire la ragazza per attirare lontano Spirito con la Scure.

Kilgore ha infatti concordato un appuntamento con una pericolosa banda di pellerossa ribelli per consegnare loro fucili e munizioni e vuole avere campo libero senza che il nostro eroe giunga a mettergli i bastoni fra le ruote.

* * *

Ormai su internet tutti hanno detto la loro in merito a questa storia…

E, come al solito, le reazioni sono state le più disparate e… disperate!

Fra coloro che hanno espresso un giudizio negativo c’è stato anche (mi è stato riferito, io non l’ho visto) uno youtuber che, per dimostrare la sua contrarietà, ha addirittura strappato l’albo davanti ai suoi spettatori… ma da ciò che ho letto ed ascoltato in rete, tutto sommato mi è sembrato che buona parte dei lettori siano rimasti soddisfatti della storia.

Ecco, allora, che da (probabilmente) buon ultimo, dico anche la mia.

L’avventura mi è piaciuta e la considero davvero bella.

Una trama semplice, lineare, racchiusa nella lunghezza di un albo e mezzo, nella quale Moreno Burattini riesce a creare con intensità una progressiva aspettativa nel lettore, che nel procedere della storia è sempre più curioso di sapere come verrà risolta la reciproca attrazione sentimentale di Jenny e Zagor…

Anche perché questa “trama rosa” è stata portata avanti dallo sceneggiatore per diverso tempo e in varie occasioni, fin dalla storia contro la figlia del mutante (Zagor 655/657 del 2020), poi proseguita nel Maxi Zagor 39, intitolato “Lungo il fiume”; poi, all’inizio della storia “I sette vikinghi” (Zagor 668) abbiamo visto Jenny cercare alcuni momenti di intimità con Zagor, sperando di riuscire a manifestargli i propri sentimenti; nelle prime pagine de “La diabolica trappola” (Zagor 677) la situazione si è quindi fatta del tutto evidente e con l’albo conclusivo dell’ultimo scontro con Mortimer (Zagor 679) Zagor stesso sembrava provare qualcosa di più di un semplice interesse verso Jenny.

Nella storia in commento, infine, si giunge al punto in cui sia lui che lei capiscono di dover decidere che cosa fare di loro due e, al di là della parte propriamente “avventurosa”, il cuore della vicenda è proprio focalizzato sul rapporto tra Zagor e Jenny.

E dopo aver fatto di tutto, nel corso di questa avventura, per presentare Jenny come la migliore compagna di un uomo con le caratteristiche di Zagor (indipendente, pienamente autosufficiente nell’ambiente che la circonda, capace di difendersi e di sfuggire ai suoi rapitori) ecco che Moreno Burattini ci regala, anziché una conclusione felice (ma, se così fosse stata, probabilmente scontata), un finale tragico, inaspettato e davvero toccante, che mi ha emozionato e commosso!

Jenny muore, in una sequenza narrativa memorabile e intensissima, presentata con un alternarsi di vignette completamente prive di testo, lasciate a una penetrante raffigurazione disegnata, e di altre con dialoghi toccanti e coinvolgenti.

Al termine della lettura di “Yellow Rocks” ho fatto una foto all’albo e l’ho mandata a Moreno con la scritta: “Nooooooooooooo!!!!!” e una emoji con le lacrime; aggiungendo poi: “Comunque, scelta coraggiosa e – forse – inevitabile”.

Sì, perché Morenoha avuto il coraggio di osare e il risultato ha sicuramente premiato lo sforzo” (come ha scritto altrove il mio amico MarioCX) e, diciamolo francamente, la storia non poteva finire in modo diverso. Qualunque altra conclusione (un allontanamento, un rifiuto o un respingimento) avrebbe banalizzato il tutto e in parte “scimmiottato” il finale nolittiano de “La marcia della disperazione”. Invece, come riflette Zagor, tutti sappiamo che, finché lui vestirà i panni dello Spirito con la Scure, non potrà mai avere una compagna! Decisione questa, peraltro, rafforzata dalla circostanza che la morte di Jenny è stata causata non da uno dei suoi nemici più forti o malvagi bensì dei balordi qualsiasi.

Ai miei messaggi di cui sopra, Moreno Burattini ha risposto: “L’importante sono le emozioni. Suggerisci la lettura a Beatrice (mia figlia diciassettenne), mi incuriosisce il suo parere”.

Ebbene, domenica scorsa Beatrice ha letto la storia e ho comunicato a Moreno il suo pensiero: “La storia mi è piaciuta, anche se dal finale tragico. Non avendo letto le storie precedenti che coinvolgevano Zagor e Jenny mi è sembrato che la relazione tra i due cominciasse all’inizio di questa storia e quindi non sono riuscita ad immedesimarsi pienamente nel dolore di Zagor.

Sicuramente non mi aspettavo che Jenny morisse, anche perché secondo me aveva un bel potenziale come comprimaria. Sarei curiosa di sapere se quando hai fatto innamorare Jenny di Zagor avevi già deciso che sarebbe morta, proprio per sottolineare il concetto che Zagor non potrà mai avere una compagna.

Per quanto realistica, avrei preferito che la morte di Jenny fosse un po’ più “eroica” e non ad opera di banditi qualsiasi. D’altro canto mi è piaciuto che anche Zagor lo abbia sottolineato, e ciò me lo ha reso affine, avendo espresso i miei stessi pensieri.

Mi piace anche come disegna Anna Lazzarini. Si vede che è una donna da come rende le espressioni dolci dei visi”.

Moreno ha infine risposto: “Grazie del bel commento e sì, la sorte della povera Jenny era già stata decisa perché gli eroi che soffrono sono più umani e la vita ci mette di fronte a drammi così”.

E a proposito di Anna Lazzarini, già apprezzata sul secondo numero della miniserie “Zagor Darkwood Novels”, devo osservare che si dimostra davvero brava anche in questa occasione. Il suo tratto fresco e dettagliato aggiunge valore alla storia, sia nelle scene dinamiche che in quelle più riflessive e commoventi. Anche il volto un po’ giovanile di Zagor non disturba, ma ben si adatta alla tematica “amorosa” trattata.

Concludendo, quindi, promozione piena per questa ennesima bella storia zagoriana che, insieme agli Zagor Bis, Color e Più, ho avuto il piacere di leggere questa estate. A dimostrazione che il Signore di Darkwood dopo tanti anni riesce ancora a emozionare i suoi appassionati.

 


venerdì 2 settembre 2022

Lo Zagor estivo… fuori serie! (Zagor n. 735bis + Color Zagor n. 15 + Zagor Più n. 6)

 Come in passato, anche quest’anno ho deciso di dedicare un unico post alle recensioni degli albi cosiddetti “fuori serie” usciti quest’estate. Si tratta dello Zagor 735bis, del Color Zagor n. 15 e dello Zagor Più n. 6.

Dico subito che ho apprezzato tutti e tre gli albi, per vari ordini di motivi.

LA VENDICATRICE

 È una giovane donna, è una pellerossa, è una guerriera imbattibile…

Colpisce le sue vittime, bianchi che hanno commesso crimini contro i nativi, firmando le sue imprese con simboli indiani con cui si attribuisce un nome che è tutto un programma: “la Cacciatrice”.

Chi è la misteriosa Vendicatrice che all’improvviso comincia a imperversare nella foresta di Darkwood?

E Zagor… deve cercare di fermarla, o stare dalla sua parte?

Ci fu un periodo in cui, nella vicenda editoriale dei comics americani, nei cosiddetti “Annual” (gli albi di una collana che uscivano una volta all’anno e, molto spesso, fuori continuity rispetto alla serie regolare) veniva presentato un personaggio nuovo di zecca che interagiva con il titolare della testata, a volte come alleato, a volte come avversario. Ciò aveva una precisa finalità: quella di testare il gradimento dei lettori sul nuovo character e, di conseguenza, decidere se poi inserirlo o meno nella continuity delle varie testate (se non, addirittura, creargliene una tutta sua).

Ebbene, ritengo che una “operazione” simile sia avvenuta anche in questo Zagor Bis.

Infatti si può ben dire che, in questo caso, non è tanto importante la storia in sé, bensì il nuovo personaggio della Vendicatrice che viene presentato ai lettori: il personaggio “è” la storia! Dalle premesse di questo albo nasceranno sicuramente delle avventure future che vedranno Linneha e Zagor incrociare ancora le loro strade. Se da alleati oppure da avversari, solo gli sceneggiatori ce lo potranno rivelare.

Nella sua introduzione, Moreno Burattini presenta la Vendicatrice come somigliante alla Elektra della Marvel o alla scotennatrice Minnehaha di salgariana memoria.

Io, in realtà, ho rinvenuto più attinenze con la Cacciatrice (in originale Huntress), eroina/vigilante della DC Comics: Helena Bertinelli, di origini italoamericane, a otto anni ebbe tutta la famiglia sterminata da una banda mafiosa; costretta a un esilio forzato in Sicilia, vi conobbe il suo primo amore, Salvatore, che la chiamava affettuosamente “Cacciatrice”; a dodici anni, per suo stesso volere, le venne insegnato a difendersi e a sparare, e a diciannove anni maturò il desiderio di affrontare il capo della banda che aveva assassinato la sua famiglia e vendicarsi; Helena usò allora l’ingente patrimonio ereditato per servirsi dei migliori addestramenti in campo fisico, mentale, cognitivo e, soprattutto, balistico; quando comprese di non aver altro da imparare, tornò in America e con indosso un costume da supereroina fece arrestare il colpevole dopo averlo reso storpio in una lotta, firmando così la sua prima azione da vigilante e ribattezzandosi col nome datole da Salvatore: “Cacciatrice” (Huntress).

Sarà un caso che il titolo di lavorazione di questa storia zagoriana fosse, appunto “La cacciatrice”?

Sia come sia, questa avventura “introduttiva” della Vendicatrice ha centrato in pieno il suo scopo: una vicenda “speciale”, che diverte, intrattiene piacevolmente e lascia aperte le porte per un approfondimento più articolato di questo nuovo ed intrigante personaggio.



Belli i disegni di Massimo Pesce - che ci sa davvero fare con i personaggi femminili! -, impreziositi da parecchie vignette verticali (una quindicina), soluzioni grafiche particolari (v. pag. 39) e la rottura della “gabbia” (v. pagg. 57 e 91).

* * *

ACQUE ROSSE

Qualcuno o qualcosa sta uccidendo i trapper che si recano al villaggio di Red Lake per vendere o barattare le loro pelli; tutte le vittime sono trafitte da una strana freccia e hanno uno sguardo di terrore impresso sui loro volti.

Qualcuno parla di una strana creatura emersa dal lago, altri danno la colpa agli indiani. In un caso o nell’altro, ciò che sta accadendo sembra avere la sua origine in una vecchia storia di sangue che ha dato nome al lago e al villaggio che sorge sulle sue rive. Zagor, Cico e il trapper Pablo Rochas cercheranno di far luce sul mistero, per porre fine agli omicidi e scongiurare un possibile conflitto con gli indiani.

Scopriranno che c’è davvero qualcosa di terribile e mortale che emerge dal lago, legato al passato di morte e sangue che tinge di rosso le sue acque…

Seguendo solo parzialmente la tradizione, quella secondo cui i Color puntano i riflettori su uno dei comprimari della saga dello Spirito con la Scure, in questa avventura compare, sì, il trapper Pablo Rochas, ma la storia non lo vede esattamente al centro dell’attenzione.

Il vero “evento” dell’albo si può dire che sia il ritorno di Alessandro Russo alla sceneggiatura!

Questo autore (di cui si parla diffusamente nell’introduzione a pag. 4 dell’albo) aveva già scritto tre storie dello Spirito con la Scure pubblicate, rispettivamente, negli anni 1992, 2002 e 2003. Poi era scomparso dai “radar” zagoriani… Eccolo oggi ripresentarsi con una storia veramente appassionante, di ambientazione classica, ricca di tensione e con un mistero a tinte horror (ma poi spiegato razionalmente) da risolvere e dei comprimari davvero interessanti (molto azzeccata la figura del pellerossa Mezzo Uomo, per ciò che poi si rivelerà realmente essere). Se queste sono le premesse, c’è solo da augurarsi che Alessandro Russo sia già al lavoro su altre sceneggiature!

Anche i disegni di Walter Venturi ed i colori di sua moglie Tiziana “Mad Cow” non sono da meno e ci regalano alcune sequenze davvero affascinanti. Ottima la scelta di colorare i flashback in modo uniforme (a volte grigio, a volte seppia), così come le scene notturne e subacquee con prevalenza di tonalità blu. In ogni caso, anche nelle scene diurne mi è sembrato di notare delle sfumature di colore molto più belle del solito, con piacevoli effetti quasi di tridimensionalità.

* * *

LA FRATELLANZA INFERNALE

Antiche leggende africane parlano degli isithfuntela, defunti richiamati in vita grazie a oscuri riti di magia praticati da persone che, nel corso dei secoli e nel loro peregrinare da un angolo all’altro della terra, sono state chiamate semplicemente stregoni.

Uno di loro viene costretto a usare i suoi poteri per strappare alla morte gli uomini di una banda di assassini conosciuta con il nome di Fratellanza, sconfitta e sterminata molti anni prima nei pressi di Darkwood.

I banditi tornati in vita sono accecati dall’odio, invulnerabili alle normali armi e consumati dal desiderio di vendetta. Sulla loro strada trovano Zagor, che li dovrà affrontare e fermare prima che tornino a seminare il terrore a Darkwood.




Anche in questo caso, più che la storia in sé – peraltro interessante e con certi elementi di originalità legati a riti negromantici e risurrezioni di cadaveri abbastanza inquietanti – ciò che in me ha lasciato davvero il segno al termine della lettura è stata la componente malinconica che la narrativa di Antonio Zamberletti ha inserito quasi sottotraccia… come per “La Vendicatrice”, ciò che mi ha davvero appassionato non è tanto la trama principale bensì la caratterizzazione dei comprimari che ruotano attorno alla vicenda.

In realtà, questa, più che una storia horror, è una storia di coppie, di uomini e donne che si amano e che dal loro amore vengono spinti ad agire di conseguenza: il professor Walsh, il cui amore per la defunta moglie Liz lo porta a mettere in moto tutta la vicenda; Svenson, che per salvare la moglie Julie dai suoi rapitori parte al loro inseguimento con Zagor e Cico; Hale, uno dei banditi riportati in vita dalla magia nera, che decide di sfruttare la nuova occasione che gli è stata data per cessare la carriera criminale e cercare invece di rintracciare il suo perduto amore Grace; infine, Ormond e Ann, i due isithfuntela “buoni”, le cui esistenze sono indissolubilmente legate ma destinate a sciogliersi tragicamente.

Ecco, nel tratteggiare i personaggi di cui sopra e le sequenze che li coinvolgono Zamberletti scrive, a mio parere, pagine di intenso lirismo che portano il lettore a riflettere su situazioni che vanno al di là della trama prettamente “avventurosa”. Il tutto coronato da un bellissimo finale dalle connotazioni letterarie… non a caso, il nostro sceneggiatore è anche un romanziere…

Per chiudere sull’aspetto narrativo, mi sono tolto la curiosità di verificare se gli isithfuntela fossero il parto della mente di Antonio o se facessero riferimento a qualche leggenda “documentata”. Se vi interessa, ecco ciò che ho trovato in rete: “Vampiri nel folclore africano. Gli stregoni della Guinea sono in grado di risvegliare i morti, facendoli diventare loro schiavi: detti isithfuntela, sono molto simili agli zombie degli stregoni haitiani e sono in grado di ipnotizzare le loro vittime con il semplice sguardo. Per evitare problemi con il libero arbitrio, gli stregoni piantano nel cervello dei loro schiavi dei chiodi appuntiti”. A livello di battuta, devo dire che non ho invece trovato traccia dell’invocazione usata per la risurrezione… per cui ritengo che quella sia stata completamente inventata dallo sceneggiatore!!! :-D



Dal canto suo, Marcello Mangiantini si sbizzarrisce tra scene grandiose (il naufragio del prologo) e liriche (tutto l’epilogo), con ottimi chiaroscuri nelle scene crepuscolari e notturne, ambienti chiusi molto particolareggiati e costumi d’epoca davvero ricercati nel dettaglio. Solo sui primi piani di Zagor e Cico deve, a mio parere, lavorarci ancora un po’…

P.S. Per chi non l’avesse ancora letta, suggerisco l’interessante intervista ad Antonio Zamberletti che potete trovare a questo link.