mercoledì 5 agosto 2015

Zagor Collezione Storica a Colori: Il sentiero del Ronin (ZCSC182)



Il centoottantaduesimo numero, che troverete in edicola domani, contiene la conclusione dell’avventura di Zagor con il duca di Greenshire, nonché la prima parte della storia “L’uomo venuto dall’oriente”.


L’UOMO VENUTO DALL’ORIENTE

Il samurai che non segue il suo signore nella morte diventa un ronin: un guerriero senza padrone, la più triste delle condizioni per chi vive secondo il codice d’onore del Bushido. Eppure, il giovane Takeda non si unisce ai samurai del principe Minamoto che fanno seppuku, il sacrificio rituale dei giapponesi. Il più anziano dei suoi compagni gli affida infatti una missione da compiere: trovare e uccidere l’uomo che ha sconfitto il loro signore, per vendicarne la morte. E per Takeda il bersaglio da colpire, diventato l’unico scopo della sua vita, ha un nome preciso: Zagor! Il giovane samurai lascia quindi il Giappone alla volta della lontana America.
Nel frattempo lo Spirito con la Scure è tornato alla sua capanna nella palude, dove trova ad attenderlo una missiva del suo vecchio amico ing. Robson, che chiede aiuto per risolvere il mistero di alcuni sabotaggi alla nuova linea ferroviaria che sta costruendo. Zagor e Cico si rimettono subito in viaggio.
Tempo prima Takeda si era arruolato fra i lavoranti alla ferrovia di Robson dopo essersi innamorato della bellacinese Jeng, per cui quando Zagor giunge in soccorso dell’ingegnere trova il samurai già lì ad attenderlo. Ma non è soltanto da Takeda che Zagor deve guardarsi. Mentre il giapponese si prepara ad affrontarlo per compiere la sua vendetta, infatti, altri misteriosi nemici tramano nell’ombra e gli attentati si ripetono mettendo a rischio la vita degli operai cinesi.
Quando lo Spirito con la Scure incontra finalmente Robson questi si dimostra stupito che Zagor e Cico siano venuti su sua richiesta perché lui non ha mai inviato nessuna lettera (in realtà spedita da Takeda); in ogni caso, l’ingegnere è felice di avere al suo fianco Zagor che potrà aiutarlo a togliere le castagne dal fuoco...
Zagor scopre con uno stratagemma che i responsabili dei sabotaggi sono alcuni guardiani del cantiere, che hanno nel frattempo rapito la bella Jeng. Il giustiziere di Darkwood interviene per liberarla ma la ragazza viene colpita da un proiettile vagante. Interviene anche Takeda che, però, viene fatto prigioniero. Dopo aver posto in salvo Jeng, Zagor salva anche la vita di Takeda, uccidendo i vigilantes ad eccezione di uno che dovrà rivelare chi sono i mandanti dei sabotaggi alla ferrovia.
A questo punto Takeda, sebbene turbato perché deve uccidere l’uomo che gli ha salvato la vita, prende in pugno la sua takana ed inizia l’assalto contro Zagor. Fortunatamente Jeng riesce a far desistere l’amato dal suo intento, almeno temporaneamente.
Il sorvegliante sopravvissuto vuota il sacco: i mandanti degli attentati sono l’ing. Webster e il suo assistente Dwight, responsabili dei lavori di costruzione del tronco ferroviario al quale dovrebbe ricongiungersi quello di Robson. Il loro fine era quello di screditare quest’ultimo per aggiudicarsi anche il suo lavoro.
Nello scontro finale, Zagor uccide Dwight e mentre sta per essere colpito a morte da Webster viene a sua volta salvato da Takeda, che salda così il suo debito d’onore.
Il bushido tuttavia non permette a Takeda di recedere dalla missione che gli è stata assegnata, però ora è prioritario per lui prendersi cura di Jeng e del loro figlio che porta in grembo; questo compito mette in secondo piano la missione precedente. Takeda si allontana ringraziando Zagor per avergli mostrato un’altra strada.


L’avventura si riallaccia ad una storia di Bonelli/Nolitta (Arrivano i samurai) apparsa sui nn. 116, 117 e 118 della serie regolare.
Moreno Burattini parte da questa vecchia vicenda per realizzare una storia che parla sì di vendetta ma anche di incontro/scontro tra diverse civiltà (l’americana e la giapponese).
Fin dalle prime pagine lo sceneggiatore alterna la narrazione “in tempo reale” con brani tratti da testi storici giapponesi, descrivendo così un samurai che, giunto in America, conosce una realtà ben diversa da quella a cui è abituato e di conseguenza arriva al termine della vicenda, indeciso fra il cuore e la spada, fra sentimenti d’amore e riconoscenza e la sua filosofia guerriera, a mutare lo scopo della sua vita.
A conferma del cambiamento di prospettiva, nella tavola conclusiva Takeda si accorge che esiste un orizzonte più vasto di quello entro i limiti del quale aveva improntato la sua esistenza, consapevole delle sue responsabilità di futuro padre e dell’ammirazione che prova per lo Spirito con la Scure, non più un assassino (come lo credeva) ma un uomo d’onore, giusto e generoso.
In tal modo Burattini caratterizza Takeda diversamente da Minamoto: laddove questi era il samurai per eccellenza, crudele e spietato, che non può essere scalfito da nessuno scrupolo, Takeda è anch’egli fedele al suo codice ma un uomo “vero”, con dubbi e fragilità, come tutti noi. Queste sfumature ne fanno un personaggio molto dinamico, che alla fine della storia abbandona la sua missione ma non definitivamente, tanto che il suo ritorno è già previsto in una futura avventura sceneggiata da Jacopo Rauch e sempre disegnata da Massimo Pesce.
E a proposito di quest’ultimo, v’è da osservare che i suoi disegni chiari e dinamici rendono ottimamente le numerose scene d’azione e si rivelano appropriati al tipo di avventura, confermando inoltre la sua predilezione per le figure femminili. Peccato per alcune vignette (soprattutto in campo lungo) che appaiono vergate frettolosamente...
Come in altre occasioni, chiudo riportandovi alcuni interventi di Moreno Burattini su questa storia, risalenti al 2005/2006 e postati sul Forum www.spiritoconlascure.it.

In merito al fatto che il samurai approda a New Orleans anziché in California (la via più breve per venire in America dal Giappone:
Bisogna tenere conto del fatto che ai tempi di Zagor non era possibile attraversare il continente nordamericano da ovest verso est (e nemmeno da est verso ovest). Ovvero, era possibile per gente eroica e ardimentosa (la spedizione di Lewis & Clark èdel 1804, e anche Zagor ne ha seguito le tracce in una storia di Toninelli), ma non esistevano piste, strade, ferrovie. Al di là del Mississippi c’era il territorio indiano, inesplorato e sconfinato. Non si sapeva dove fossero i valichi per attraversare le Montagne Rocciose, dove fossero i pozzi nei deserti. C’erano gli "ostili" (così venivano chiamati i pellerossa in certe cronache dell’epoca) che uccidevano i viandanti. Per portare le carovane in California o comunque sulla costa del Pacifico si aprirono delle piste, a prezzo di tanti morti e tante sofferenze, solo nella seconda metà del secolo. Dunque, nessuna strada fra la California e la Costa Est, non per gente disarmata con donne e bambini al seguito. Gli immigrati che giungevano dalla Cina di solito sbarcavano in Cile (le rotte attraverso il Pacifico prevedevano spesso scali cileni). Poi si poteva circumnavigare il Sud America oppure risalire fino al Messico, e da Veracruz prendere una nave per New Orleans. Appunto”.

In merito all’ispirazione del film di Terence Young “Sole rosso” (1972) con Toshiro Mifune, Charles Bronson, Alain Delon e Ursula Andress:
Sole Rosso è stato uno dei primi film che io ho visto al cinema, mi ci portarono i miei genitori quando io avevo dieci anni. Credo anche che le mie turbe erotiche (si sa che sono un cultore dell’erotismo) derivino delle scene di nudo con Ursula Andress (che fecero pentire i miei genitori dall’avermi portato al cinema). La copertina di Il cuore e la spada è chiaramente ispirata alla scena finale di "Sole Rosso", quando la katana dell’imperatore viene fatta ritrovare lungo i binari della ferrovia. Devo anche segnalare che il personaggio interpretato da Alain Delon in "Sole Rosso" ha ispirato uno dei cattivi in una mia vecchia storia, Nodo Scorsoio. Questo a dimostrazione del debito che ho verso quel film, assolutamente consigliato a tutti”.

In merito al fatto che Zagor viene quasi battuto da Takeda ed alle motivazioni con cui quest’ultimo risolve il suo conflitto interiore:
Circa lo Zagor in difficoltà, faccio notare alcune cose. Un eroe è tanto più grande e tanto più si è partecipi delle sue vicende quanto più soffre. Rocky Balboa, per fare un esempio, non è Ivan Drago. È uno che ne busca tante, che viene gonfiato di botte, che poi reagisce e solo soffrendo arriva alla vittoria. Dunque se Zagor fosse uno spaccamontagne che non soffre mai, le sue storie non sarebbero divertenti. Invece anche Nolitta metteva Zagor in difficoltà, un esempio su tutti nei combattimenti contro Supermike. Il problema è fare in modo che quando Zagor è in difficoltà non lo sia per dabbenaggine, non sembri stupido, non si comporti da idiota. Ma se è in difficoltà perché il suo avversario è fortissimo, la cosa dà sapore alla storia. Nel caso di Takeda abbiamo visto tutti la sua abilità straordinaria di combattente. Tutti gli scontri del samurai con gli avversari servivano a fare in modo che il lettore sapesse quant’era letale, e si chiedesse: che accadrà quando incontrerà Zagor? La scena che più mi è piaciuto scrivere è quando Zagor, ignaro, riconsegna la katana a Takeda dopo averlo salvato. Qualcuno si è chiesto perché Zagor non noti il costume da samurai. A parte il fatto che Takeda ha un costume "agile" e non del tutto uguale a quelli visti da Zagor ai tempi di Minamoto, Zagor sa che Takeda è un "buono" perché la ragazza Jeng (che non è a conoscenza dei propositi del samurai) gli ha chiesto di salvarlo e gli ha spiegato che se lo merita. Zagor non è tenuto a prendere per oro colato tutto quello che dice una ragazza, ma il contesto depone a favore di Takeda. Come immaginare che l’orientale, a cui lo Spirito con la Scure salva la vita, voglia ucciderlo appena salvato? Il fatto che sia armato e abbigliato come un guerriero orientale (peraltro là dove ci sono centinaia di orientali, gli operai della ferrovia) significa soltanto che è un guerriero orientale, e non è che il nostro eroe debba temere tutti i guerrieri orientali, quasi per un pregiudizio razzista, solo perché sono guerrieri orientali. Se Zagor avesse salvato un guerriero pellerossa gli avrebbe restituito la sua lancia, se non ci fosse niente che facesse pensare a una minaccia. Idem con Takeda. Quando però Takeda lo attacca, Zagor non viene quasi sconfitto. Si difende. Non ha un’arma adatta, solo il fucile che non vuole usare perché spera di far riflettere il suo avversario, non intende uccidere, non vorrebbe neppure combattere se potesse, non ha nulla contro il samurai, anzi ha promesso a Jeng di salvarlo. Dunque cerca di parlare al suo avversario. Ecco perché questi sembra prevalere. Quando Jeng interviene, non salva la vita a Zagor: interrompe semplicemente il combattimento. Se Jeng non fosse intervenuta, Takeda avrebbe abbassato la spada ma Zagor avrebbe potuto rotolarsi di fianco e schivare di nuovo, non lo sappiamo, ma possiamo ipotizzare che il nostro eroe se la sarebbe cavata comunque. Dunque Zagor in difficoltà sì davanti a un grande avversario, ma non "quasi" sconfitto”.

Una volta Isaac Asimov andò in incognito a una conferenza dove un critico letterario commentava i suoi racconti, e sentì dire che una certa cosa da lui scritta alludeva a certi significati, o faceva intuire certe verità. Al che lui si alzò divertito e disse: "Io sono l’autore e posso assicurare che non pensavo a nulla del genere quando ho scritto quella cosa". Il conferenziere non si scompose e disse: "Perché, scusi, per il solo fatto di essere l’autore si illude forse di poter capire tutti i significati di quello che scrive?".
Un autore scrive spinto da mille cose che ha detto, a volte solo per sbarcare il lunario, poi l’opera è affidata ai lettori e ognuno ne tragga le conclusioni che crede. Se può servire il mio parere, Takeda non rinuncia a vendicarsi e neppure rimanda la vendetta, e comunque non fa quello che fa (o non fa) solo perché gli è rimasta incinta la ragazza. Takeda, come si dovrebbe capire da un balloon dell’ultima tavola, vede un orizzonte più vasto dove la vendetta resta un piccolo particolare, un elemento di un tutto, dove ci sono cose più importanti e meno importati da valutare, e l’importanza è data dal punto di vista da cui si guarda (il posto di ciascuno nella ruota della medicina, direbbe Shyer).
Quando i gerarchi nazisti furono processati a Norimberga si difesero dicendo che avevano solo eseguito degli ordini. Ecco, ci sono ordini che a volte non si devono eseguire.
Il tenente Woodward, ne "La lunga marcia", dice a un certo punto che i grandi uomini si dividono in due categorie: quelli che comandano e quelli che non obbediscono. Takeda ha avuto un incarico, una missione. Per lui è il credo. È stato educato a obbedire, fino in fondo. Per noi sembra facile dire: non obbedire, non vendicarti. Sarebbe stato assurdo se Takeda avesse potuto così facilmente liberarsi dai condizionamenti. Takeda però compie un percorso in cui si confronta con una realtà diversa da quella che conosce, e capisce la portata di altri valori oltre a quelli del Bushido. Da uomo orientale da ragiona secondo percorsi diversi dai nostri, gli serve un escamotage per non tradire ciò in cui ha sempre creduto. Anche perché c’è del buono anche nei suoi principi. Non abiura tutto, non rinnega i suoi maestri, fa la scelta più intelligente (secondo me): si adatta, anziché trasformarsi. Trova negli stessi insegnamenti dell'Hagakure il modo per adeguarsi alla nuova realtà, esterna e interiore. In pratica: solo gli ottusi applicano le regole alla lettera, senza riflettere sul loro significato (e applicare una regola significa prima di tutto agire in un certo modo anziché in altro, dunque relazionarsi e interagire con la realtà, trasformare un principio in un fatto). Poi, tutto scorre, le cose cambiano, e il punto di vista da cui si valutano i fatti della vita si modifica. Come la valutazione dell’importanza delle cose, della loro priorità. Diceva qualcuno che invecchiare è come scalare una montagna: più sali più il respiro di fa affannoso e le gambe cedono, ma quanto si allarga il panorama! Io che sono nel secondo tempo della vita confermo che è vero. Anch’io, come Takeda, credo di essere lo stesso di tanti anni fa, non rinnego il mio passato, ma sono indubbiamente molto diverso (secondo me, migliore - qualcuno potrebbe sostenere il contrario, però): ho un mio personale Hagakure fatto da tante citazioni di tanti scritti, ma lo interpreto in modo diverso da un tempo e soprattutto oggi sottolineo come importanti certe frasi diverse da quelle di una volta
”.

1 commento:

  1. Storia insolita visto che il protagonista è Takeda ed è basata sulle sue peripezie e i suoi pensieri. L' ho trovata un esperimento a tratti riuscito vista la riflessione sulla vendetta e sullo scegliere il cammino da percorrere a tratti non troppo visto che narrativamente succede poco e questo come già scritto non mi entusiasma di solito.
    "Sole rosso" l' ho beccato qualche anno fa, ma mi sembrava un filmaccio e così ho interrotto la visione XD! Da noi ebbe un bel successo, penso soprattutto dovuto al grande cast!
    Sempre interessanti gli aneddoti, soprattutto la seconda parte!
    Riguardo la citazione della difesa dei nazisti, addirittura ho sentito a "Un giorno in pretura" giusto l' altro giorno che il governo argentino misteriosamente ha fatto una legge ad hoc ai terribili torturatori agli ordini di Videla dicendo che si limitavano ad obbedire agli ordini o qualcosa di simile e quindi in patria non potevano essere processati! O_O Allucinante!

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