Lauren Shelbourne, una giovane donna, ha uno straordinario dono: entrare in contatto con i defunti, parlare con loro, ascoltare ciò che raccontano.
Divenuta in questo modo uno scomodo testimone, si è data alla fuga, braccata da un manipolo di assassini incaricati di chiuderle la bocca per sempre e da un cacciatore di taglie dal passato misterioso.
Toccherà a Zagor aiutarla, affrontando i banditi a Vulture Peak, uno sperduto villaggio battuto dalla tormenta e popolato da inquietanti presenze.
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Insieme al filone fantastico, sembra che il western sia quello prediletto dallo sceneggiatore Antonio Zamberletti. Anche nel caso di questo speciale troviamo una trama portante prettamente inserita nei canoni del racconto di frontiera americano (agguati e sparatorie, con banditi, affaristi senza scrupoli, cacciatori di taglie, killer prezzolati e sceriffi) con in più una venatura horror (ghost story, in particolare) grazie all’inserimento del personaggio femminile di Lauren che vede e parla con i defunti.
Senza anticipare troppo, dico che la vicenda è molto articolata e “complicata” dalla presenza di tanti personaggi tutti molto ben delineati e interessanti, e riesce anche a toccare un argomento impegnativo come quello della violenza sulle donne. Essendoci poi di mezzo anche dei “fantasmi”, l’atmosfera non può che ovviamente essere cupa e spettrale, accentuata dal villaggio isolato dalla bufera di neve in cui si svolge buona parte della vicenda.
La sceneggiatura è quasi cinematografica: viene fatto un uso molto espressivo dei primi piani per mettere in evidenza i dettagli dei visi (soprattutto dei “cattivi”: vedi i tre balordi del villaggio, in particolare Berry deturpato da una vistosa cicatrice) e vengono adottate delle soluzioni narrative che a volte danno l’impressione di guardare la scena attraverso gli occhi dei protagonisti o addirittura di vedere l’accadimento come filmato da una cinepresa che si allontana.
Alle fine vi sono anche un paio di inaspettati e interessanti colpi di scena che potremmo definire “trascendenti”, nei quali alcuni personaggi si ritrovano a non capire bene se sono vivi o morti… il tutto senza però particolari connotazioni di carattere religioso/fideistico.
Il tratto classico dei disegni di Stefano Di Vitto, assai ricco di particolari, completa degnamente una storia divertente e piacevole da leggere.
Una storia dalle grandi potenzialità forse non percorse e sviluppate nel modo migliore e con una grossa incoerenza: il "cacciatore di taglie bonario" che è una contraddizione in termini.
RispondiEliminaTalvolta ci si perde un po' tra il necessario e il superfluo (i tre fratellacci non sono di grande utilità alla narrazione, almeno così mi è sembrato) e si rischia di perdere l'adesione emotiva alla vicenda.
Le cose migliori di questo probabile omaggio al commissario Ricciardi (un altro che vede i morti) sono l'atmosfera invernale particolare cupa e drammatica e la bontà della moglie defunta del cacciatore di taglie che ad un millimetro dalla morte di quest'ultimo lo incontra, gli dice che non è ancora il momento e che deve essere felice con un'altra donna.
Da commozione.
Stride però, per contro, che la donna in questione sia stata la sua preda.
Insomma la figura di questo cacciatore di taglie in qualche modo "buono" che però porta la sventurata verso l'impiccagione per riscuotere il premio fa piuttosto acqua.
Ben poco credibile.
Grazie per il tuo commento, Mario! E anche per le critiche, ben argomentate!
EliminaMah... A me pare che la personalità di Lamont, il cacciatore di taglie, sia ben delineata: non un "buono" ma un uomo mosso da un senso di giustizia, pur se incattivito dalla tragedia familiare. Ha catturato un'evasa e, riportandola in carcere, si rende conto a poco a poco della sua innocenza. Poi se ne innamora, ma a quel punto le accuse sul conto di lei sono già cadute. Insomma l'evoluzione del personaggio mi pare credibile.
RispondiEliminaSono d'accordo. Questo "risvolto rosa" l'ho apprezzato.
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