giovedì 25 maggio 2017

Zagor Collezione Storica a Colori: La vetta proibita (ZCSC190)



Il centonovantesimo numero in edicola oggi contiene la maggior parte dell’avventura di Zagor alla conquista del Monte Leigh.



IL GIGANTE DI PIETRA

Una spedizione lascia Fort King diretta verso le Montagne Rocciose. Ne fanno parte due esperti alpinisti: il veterano Jerry Lachman e il ricco uomo d’affari Norman Boswell, accompagnati dai tre giovani nipoti di quest’ultimo, alla loro prima ascensione. Il gruppo intende scalare la vetta del monte Leigh, un inviolato gigante di pietra. Per Lachman si tratta del secondo tentativo: anni prima, sulla stessa cima, mentre si arrampicavano insieme, suo fratello Sandy scomparve in circostanze misteriose e Jerry spera adesso di ritrovarne il corpo e ricostruire ciò che avvenne. Zagor scopre, però, che qualcuno sta tramando contro la spedizione e si mette sulle tracce dei carri insieme a Cico.
Infatti non sono soltanto le frecce degli indiani a minacciare la spedizione: è chiaro che uno dei membri del gruppo trama qualcosa ai danni degli altri. Ma chi? E perché? Deciso a risolvere il mistero, Zagor si aggrega agli alpinisti abbandonati dalle loro guide, e li conduce verso le Montagne Rocciose attraverso le sterminate praterie, in gran parte ancora inesplorate.
La spedizione, sotto la guida di Zagor, giunge finalmente a destinazione alle pendici del gigante di pietra. L’impresa ha inizio in un clima cupo e minaccioso come le nubi che si addensano sulla vetta. E mentre giungono là dove le nevi sono perenni e soltanto un insidioso ghiacciaio li separa della cima, la mano omicida di un traditore è pronta a colpirli mentre un’altra inquietante minaccia sembra incombere sul gruppo: c’è infatti chi dice di aver visto il fantasma di un uomo scomparso fra i ghiacci molti anni prima, qualcuno che aspetta al varco il proprio fratello, l’unico a sapere la tragica verità sui fatti accaduti in quel giorno lontano...

Moreno Burattini riesce a costruire una storia emotivamente coinvolgente e ricca di umorismo, intrighi, azione, rimandi classici e scenari naturali di struggente bellezza, in un contesto evocativo di scoperte pionieristiche ed avventurose.
Una storia di ampio respiro, basata su un modello narrativo spesso usato da Nolitta/Bonelli (ma anche da altri autori zagoriani, in misura minore), vale a dire quello della spedizione in “terra incognita”, innestandolo su un tema del tutto nuovo per il personaggio: l’alpinismo.
In tal modo lo sceneggiatore richiama alla mente dei lettori gli epici viaggi, ad esempio, di “Odissea Americana”, “Acque misteriose”, “La marcia della disperazione”, “Il buono e il cattivo”, e lo fa arricchendo la storia di richiami suggestivi e affascinanti alla storia dell’alpinismo e all’Italia (da appassionato dei monti valdostani la citazione della conquista del Monte Bianco mi ha personalmente mandato in “brodo di giuggiole”!); il tutto immerso in una trama da “romanzo gallo” fatta di tensione e mistero in cui, come è giusto che sia, la soluzione è riservata al finale della storia.
La circostanza, poi, che il nemico si celi fra i componenti della spedizione consente a Burattini di “giocare” con i vari personaggi delineandoli in modo approfondito sia dal punto di vista fisico, che dal punto di vista caratteriale (quello, a mio parere, di gran lunga più importante).
Uno dei punti di forza delle migliori storie di Burattini è infatti l’umanità dei personaggi, che qui mostrano le proprie debolezze, le angosce e le ossessioni di esistenze connotate dal desiderio del possesso. E proprio dal contrasto tra la bieca materialità del “possedere” ed il magico silenzio dei monti - spettatori involontari delle umane debolezze - emerge tutta la potenza espressiva del racconto.
Abbiamo uno Zagor non solo in gran forma e completamente a suo agio nelle scene di montagna ma anche ricco di un’umanità straordinaria, e un Cico pienamente protagonista anche nella sua veste di catalizzatore di guai non voluti; un Lachman, dotato di una personalità psicologicamente molto forte ed uno stato d’animo tormentato, malinconico e triste; un Boswell che a un certo punto sembra diventare uno spietato assassino (in netto contrasto con la persona che avevamo conosciuto in precedenza) ma che dopo poche pagine comprendiamo essere un personaggio che ha agito per una forma (discutibilissima) di difesa e non per bieco interesse.
Molto bella anche la conclusione, nella quale è condensato il disvelamento di tutti i segreti, gli intrighi e le rivelazioni: i lettori non fanno in tempo a scoprire il segreto di Lachman, che immediatamente vengono folgorati dal ruolo che Boswell aveva nell’intrigo iniziale, che a sua volta si scopre poi essere un contro-intrigo teso ad avere salva la vita degno della migliore tradizione giallistica.
La riconciliazione finale con i nipoti superstiti è molto toccante e per nulla forzata, come pure le riflessioni di Zagor, che chiudono la storia con un pizzico di retorica positiva che nelle avventure zagoriane non è mai fuori posto.

Michele Rubini
Dopo aver disegnato l’Almanacco dell’Avventura del 2004, Michele Rubini è qui al suo esordio sulla serie regolare.
Il suo tratto è in continuo crescendo durante tutta la storia: molto vario e fantasioso nelle fisionomie, utilizza inquadrature sempre nuove, coinvolgenti e dinamiche, che denotano una buona padronanza della sceneggiatura.
Il meglio lo dà, a mio giudizio, negli scenari naturali: le sue praterie sono sconfinate e su di esse pascolano bisonti davvero realistici; il suo monte Leigh è spettacolare, pauroso, aspro, impervio e gelido.


Qui di seguito vi riporto alcuni interessanti interventi di Moreno Burattini postati sul Forum SCLS (durante la pubblicazione della storia nelle edicole) tra il settembre 2007 e il gennaio 2008.

Sul tema dell’alpinismo:
In effetti sì, l'alpinismo è abbastanza inedito come argomento per Zagor. Io credo che la saga dello Spirito con la Scure sia stata impostata fin dall’inizio, da Nolitta, come un succedersi di una grande varietà di argomenti (diversamente, insomma, dalle tematiche western un po’ sempre uguali in Tex) e dunque sono costantemente a caccia di spunti originali (almeno per la serie).
Riguardo alla documentazione e alla passione... beh, circa la montagna, di libri ne ho letti un bel po’ e forse di più, ma devo dire che già lo facevo per mio diletto, essendo nato un po’ collina (e poi rotolato giù, come canta qualcuno) e da sempre sono appassionato di trekking, anche se non sono un provetto alpinista come invece è Boselli.
L’idea di fare una storia sull’alpinismo mi è venuta in mente dopo aver letto tutto quello che c’era da leggere sulla vita (e sulla morte) di George Mallory, che morì nel 1924 tentando di scalare l’Everest”.

Dato che Boselli veniva definito un provetto alpinista, è stato domandato a Moreno se avesse ricevuto dei consigli da lui per questa storia:
Boselli ha dato un buon numero di consigli nel corso della lavorazione. Per esempio ha fatto ridisegnare a Rubini decine di tavole già fatte per inserire i cappelli sulle teste dei personaggi durante la scalata.
Riguardo alla storia, ho cercato di dare il maggior spessore possibile ai personaggi, perché penso che la montagna (come anche il mare aperto, non quello degli ombrelloni) abbia la capacità di tirare fuori quello che ognuno ha dentro, grazie al silenzio, all’immensità, alla solitudine. E’ probabile che George Mallory, il pioniere dell’alpinismo scomparso durante una ascensione negli Anni Venti, non fosse cosciente neppure lui di che cosa significava quella frase, "Because It Is There", "Perché c’è", risposta a chi gli chiedeva perché voleva scalare l’Everest. Forse voleva solo fare una battuta. Però continuiamo a ripeterla ancora oggi, e io ci vedo una risposta metaforica ai miei stessi dubbi esistenziali: se hai un problema, non voltare la testa, non fingere che non ci sia, è il tuo Everest, c’è, e devi scalarlo”.

Alla domanda se la scelta del nome Boswell richiamasse quello di Boselli, Moreno rispondeva così:
Il nome di Boswell è ispirato a Boselli, che è stato un discreto alpinista in gioventù (con scalate anche in Islanda e sulle Ande), e che ancora oggi si arrampica sulla Grigna (sopra Lecco). Il nome Sandy dato al fratello di Lachman è ispirato a Sandy Irvine, il compagno di scalate di George Mallory. Mallory è il pioniere dell’alpinismo il cui cadavere è stato ritrovato nel 1999 sull’Everest dopo essere scomparso in un tentativo di scalata nel 1924. Irvine invece non è stato ritrovato (aveva lui la macchina fotografica e solo ritrovando quella scopriremo se Mallory e Irvine hanno raggiunto la vetta dell’Everest prima di scomparire durante la discesa).
Del resto il nome completo di George Mallory è George Leigh Mallory e non a caso la montagna che scala Zagor si chiama Monte Leigh.
Al di là dei nomi, la faccenda del fratello scomparso e dell’altro tornato a valle è ispirato alla nota vicenda di Reinhold Messner (ma ovviamente c’è la suggestione originaria del caso Mallory/Irvine)”.

Alla domanda se la scelta dei nomi Nick e Bart per i due carovanieri fosse un omaggio a Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Moreno ha risposto:
Mi stupisce la domanda perché in realtà non si è trattato di un "omaggio" nel senso consapevole del termine (del resto perché mai due conducenti di carri di una spedizione di alpinisti dovrebbero essere chiamati con i nomi di Sacco e Vanzetti, se non si parla né di anarchia né di errori giudiziari né di pena di morte?). Però è vero, lo ricordo, che mentre scrivevo ero rapito dalla canzone "Here's to you" di Joan Baez, che avevo in sottofondo e che fa parte della colonna sonora scritta da Ennio Morricone per il film "Sacco e Vanzetti". Il ritornello della canzone (il testo dovrebbe essere di Joan Baez, appunto) dice e ripete continuamente:
Here's to you, Nicola and Bart
Rest forever here in our hearts
The last and final moment is yours
That agony is your triumph
E cercando due nomi, nel sentire ripetere quasi ossessivamente "Nicola and Bart", ecco venire spontanei Nick e Bart. A volte succede anche questo. Soprattutto a un morriconiano come il sottoscritto”.

Interessanti, poi, queste argomentazioni di Moreno sul personaggio di Cico e sulle sue gags, in particolare quella in cui viene pescato da Knofler e dal soldato ad origliare:
Se si comincia a discutere se Cico sia o non sia “rincojonito” sulla base delle sciocchezze, delle dabbenaggini e dei pasticci che ha combinato in quarantasei anni di carriera, inizieremmo una discussione senza senso, perché Cico non è un idiota né un assennato, non è un cretino né un saggio, è solo e semplicemente Cico, personaggio contraddittorio e sfaccettato, geniale e pasticcione, sfaticato e ingegnosissimo, imbelle e imbattibile, e così via.
Cico, secondo me, è tipo da impaperarsi e dire una frase fuori luogo, per l’emozione, in un frangente come quello (la fifa a volte gioca brutti scherzi e anche a me è successo a volte di peggiorare le cose cercando di accampare scuse, se messo alle strette). Però, se un impaperamento del genere può sembrare eccessivo, possiamo pensare che Cico ha buttato lì una battuta ironica cercando intanto di guadagnare tempo per cercare una via di fuga dalla brutta situazione in cui si è cacciato (uno dice qualche frase che spiazza gli avversari e intanto si guarda attorno per capire come sfuggire loro)”.

Da ultimo, un argomento abbastanza tecnico.
Così Moreno risponde a un forumista che gli fa notare che secondo lui le corde a cui erano appesi Zagor e company a un certo punto della vicenda non erano in grado, in caso di caduta, di evitare la morte a causa dell’inevitabile colpo di frusta, in particolare di Lachman, il primo della cordata:
Ci sono sicuramente migliaia di alpinisti in grado di discutere sull’argomento con dovizia di riferimenti tecnici, e io non ho la pretesa di controbattere con cognizione di causa, essendo solo uno che fa trekking e non avendo mai piantato un chiodo in una parete se non per attaccare un quadro in casa mia. Però, alcune considerazioni da profano posso farle io come possono farle tutti.
Innanzitutto va detto che si può morire inciampando in un marciapiedi e battendo la testa, e si può sopravvivere dopo una caduta da un aereo senza paracadute, come è successo ad alcuni paracadutisti a cui non si è aperto. Per cui, secondo me, in certi casi non si può dire mai con certezza "sicuramente ci si salva", "sicuramente si muore". Giustamente è stato citato il caso dei due alpinisti del film La morte sospesa, e si è ribattuto dicendo: sì, ma quello è un caso più unico che raro, tutti gli esperti si sono meravigliati che lo scalatore precipitato nel crepaccio sia sopravvissuto. Verissimo, tutti si sono meravigliati, però è accaduto. A volte accade anche l’incredibile. Sarà un caso su un milione, ma accade. Come dice Geppetto a Pinocchio: i casi sono tanti.
Poi, se il caso improbabile capita in un quasi-documentario come La morte sospesa, figuriamoci se non può capitare in un fumetto! La serie di Zagor si basa sul presupposto che non ci debbano porre troppe domande, sul fatto che si sospenda l’incredulità. Certo tocca all’abilità dell’autore far restare i lettori con la bocca aperta e non storta, ma insomma se si crede che lo Spirito con la Scure possa guarire perfettamente dopo aver ricevuto colpi di pistola e coltellate (senza mai restare zoppo, o leso), e non perda mai i denti facendo a cazzotti, beh... ci può stare anche che se il nostro eroe cade con quattro amici in un crepaccio e resta appeso alle corde, nessuno di loro muoia per il colpo di frusta.
Queste sono però considerazioni generali, adesso veniamo al particolare.
La sequenza del crepaccio l’ho discussa con Mauro Boselli che, a differenza di me, è invece un provetto alpinista.
E’ stato lui a suggerire la tecnica con cui Boswell pianta la piccozza nel ghiaccio e vi arrotola attorno la corda a cui restano appesi gli alpinisti caduti. Va detto che sul ghiacciaio c’è sempre uno strato di neve ghiacciata, non è una pista di pattinaggio, e le piccozze sono fatte apposta per esservi piantate in profondità in caso di pericolo.
Boselli sostiene (e io spero di riferire il suo pensiero senza attribuirgli castronerie mie) che non si muore per il colpo di frusta cadendo da una così piccola altezza. Cioè, si può morire se un alpinista cade per cento metri e resta appeso, ma Zagor e compagni sono caduti per dieci metri, non per cento. Quello che è caduto di più è Lachman (il primo), che infatti è svenuto. Poi Zagor è una roccia, non sviene, e meno che mai svengono i tre sopra di lui caduti per ancor minor altezza.
Le corde poi sono state legate in modo tale da non stringere a cappio i toraci, dunque non c’è neppure pericolo di sfondamento delle costole e dei polmoni. Casomai c’è da chiedersi se una corda di canapa possa reggere il peso di quattro uomini, ma evidentemente quella corda ha retto.
Boselli dice che nel fumetto ciò che manca è far vedere come hanno fatto gli alpinisti appesi, dopo la caduta di Zagor, ad arrampicarsi su: occorrono manovre un po’ complicate che non sono state mostrate ai lettori per brevità.
Personalmente ho tratto spunto per quella scena, oltre che da La morte sospesa, anche da Vertical Limits: chi l’ha visto, ricorderà che il film comincia con una famiglia di alpinisti (padre e due figli) che cadono mentre si arrampicano su una parete verticale, restando appesi alle corde. Il padre si sacrifica tagliando la corda, per salvare i figli. Nessuno di loro muore per il colpo di frusta”.

3 commenti:

  1. Storia bellissima, piena di colpi di scena e di paesaggi in continua evoluzione. Zagor sempre padrone della situazione e degli eventi.
    Ad un certo punto mi sono sentito con loro su per la montagna!
    Bella e profonda l'introspezione psicologica di tutti i personaggi, delle loro angosce e delle loro paure.
    finale di speranza, assolutamente non banale, che fa bene e riscalda il cuore.
    P.S. Mia figlia Anna di 7 anni mi ha chiesto cos'è un bisonte e dove vive: gli ho mostrato le vignette dedicate a questo bellissimo animale nell'avventura in commento.
    Quindi storia anche didascalica e non solo sulla storia dell'alpinismo!
    Un abbraccio a tutti
    Giovanni21

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  2. Ultimamente Burattini aveva usato un registro narrativo più veloce e dinamico mentre quì torna ad uno più didascalico e si prende tutti i tempi. Avventura un pò insolita perché nonostante i luoghi, sulla serie sono state davvero poche le storie che parlano della frontiera. L' ultima mi pare fosse stata "Sentieri selvaggi". Quì i paesaggi la fanno giustamente da padrone ed i personaggi sono ben caratterizzati. Il mistero fa da sfondo a questa che è soprattutto una vicenda di persone come detto nell' articolo che non posso che quotare. Nonostante non debba mancare l' azione, la serie è stata caratterizzata soprattutto da vicende umane e riflessive ed è quello secondo me che è stato uno dei motivi del successo. O.K. divertirsi e meravigliarsi a leggere, ma alla fine ti deve rimanere qualcosa.

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