Il duecentesimo numero in edicola oggi contiene la
conclusione dell’avventura di Zagor con
i Comanches, la storia completa “Mostri!”,
nonché l’inizio della storia “Plenilunio”.
OMBRE NELLA FORESTA
Dopo un prologo ambientato a Philadelphia e slegato dalla vicenda
principale, nel quale Zagor riesce a sventare una truffa a danno di una
facoltosa vedova messa in atto da Jonhatan Clark (l’uomo che aveva spinto Zagor
e Cico nella trappola ordita da Mortimer ad Haiti), malmenandolo e
consegnandolo alla giustizia, inizia la storia vera e propria.
Nella foresta di Darkwood, nei pressi del villaggio di Frame Cross, si
aggirano terrificanti creature dal corpo deforme, che impauriscono i Penobscot
e sembrano essere responsabili di alcuni efferati omicidi. Chi sono? E perché l’enigmatico mister Sterling dà
loro la caccia?
Alla vicenda di Zagor che è impegnato a dare
una risposta a queste domande, si affianca quella del dottor Sand alla ricerca
di Tabitha, la donna indiana di cui è innamorato, rapita da due banditi. Le
loro strade si intersecheranno con quelle di altri personaggi e soprattutto avranno
entrambi a che fare con gli strani “esseri mostruosi” che altro non sono che
persone sfortunate affette da devastanti malattie e malformazioni: quelli che
vengono comunemente definiti freaks.
Scopriamo che è stato il bieco mister
Sterling a raccogliere questi individui deformi per mostrarli nel suo piccolo
circo, trattandoli in modo disumano, privandoli del cibo e frustandoli,
addirittura sfigurando con l’acido dei poveri orfani pur di renderli dei
“mostri”. L’unico fedele a Sterling è Polifemo, un uomo affetto da
gigantismo, colui che è responsabile degli omicidi.
I freaks sono riusciti a sfuggire al
controllo del loro aguzzino proprio a Darkwood ed era per questo motivo che
Sterling era alla loro ricerca. La maggior parte di loro muore nella foresta,
ma tre di essi (Bark, Benny e Lenny) sono ancora fuggiaschi.
Dopo mille peripezie Zagor si trova ad
affrontare Sterling e Polifemo: quest’ultimo muore accidentalmente per colpa
del suo padrone, mentre Sterling viene investito dall’acido che lo rende simile
proprio ai freaks che sfruttava.
Mentre si risolvono anche altre sottotrame
(in particolare quella di Tabitha e del dott. Sand), i tre freaks sopravvissuti vengono accolti nella tribù
dei Penobscot dove potranno trascorrere una vita serena.
Questa è, a mio parere,
una delle più belle storie scritte da Moreno Burattini.
La lunghezza è sempre stata una caratteristica vincente delle
migliori storie nolittiane e di molte altre avventure scritte dai suoi
successori. Per fortuna, non sempre è così: pure molti racconti brevi sono
rimasti nel cuore degli appassionati, e credo sia proprio il caso anche di
questa avventura.
Storia molto
toccante, narrata con delicatezza, tutta giocata sulle psicologie e sui drammi
dei personaggi, con elementi di mistero nella prima parte e con una soluzione
liberatoria ed appagante nella seconda, quando i cattivi raccolgono quello che
hanno mietuto e i buoni raggiungono la meritata serenità.
Molto bella l’introduzione dell’avventura a Philadelphia, molto
nolittiana. Poi la vicenda si sviluppa con tanti
spunti e tanti personaggi di contorno che accrescono l’attesa ed il senso di
minaccia incombente e oltremodo “soprannaturale” (e qui, secondo me, Burattini ha volutamente, messo in
relazione una prima parte in cui il soprannaturale è mistificazione ed una
seconda parte in cui il soprannaturale viene percepito come “reale”, anche se
poi scopriremo che trattasi di tutt’altro).
Lo sceneggiatore è infatti abile nel fuorviare il lettore
facendogli credere di essere in presenza di esseri mostruosi e violenti: si
tratta invece di persone sfortunate, perseguitate e schiavizzate.
Il tema dei “diversi” è trattato con grande rispetto ed umanità
e ottimamente calato nella struttura avventurosa della storia. Veramente
delicate e toccanti le scene di Cico con i due ragazzi pinheads, che lo abbracciano come se fosse il loro papà, che fa da
contraltare alla scena (da stringere il cuore!) della “vendita” del “ragazzo
albero” da parte del genitore...
Nonostante ciò, la vicenda non scivola mai nel patetico: non
solo i cattivi ricorrono alla violenza, ma anche una persona “normale” come Bancroft è capace di compiere la
propria vendetta con freddezza. La beffarda fine di mister Sterling, poi, è una punizione
ampiamente meritata, più che non una “semplice” morte.
Dopo la
precedente prova un po’ altalenante (ne Il
segno del Male), qui i disegni di Gallieno
Ferri tornano alla loro piena espressività: il dinamismo che riesce a
infondere a Zagor, la completezza degli sfondi e l’atmosfera tenebrosa che
permea questa storia sono davvero straordinari.
Concludiamo con le “osservazioni alla storia”
di Moreno Burattini tratte dal Forum
SCLS.
Ad un forumista che, pur avendo letto la sola
prima parte, affermava di considerare questa storia come una delle più belle
degli ultimi dieci anni e chiedeva a Moreno
se anche lui la pensasse così, rispondeva:
“La cosa che più mi ha
felicemente sorpreso sono stati gli apprezzamenti di Sergio Bonelli dopo la
lettura della seconda parte da poco inviata alla stampa; sinceramente ero molto
dubbioso al momento di fargliela leggere per vari motivi che ti saranno chiari
al termine dell'avventura (ci sono due o tre tasti delicati che spero di aver
toccato con la dovuta cautela); quando ho creduto di aver scritto qualcosa di
notevole (vedi Zagor contro Mortimer
o Un capestro per Gambit) sono poi
stato smentito dai giudizi non unanimi in senso positivo dei lettori, mentre
storie su cui ero più perplesso siano invece quelle più gradite, per cui il mio
giudizio non conta e anzi è fuorviante; credo comunque che alla fine delle 160
pagine circa di "Mostri!" le varie sottotrame trovino tutte un
compimento soddisfacente, questo sì”.
Ai complimenti del sottoscritto, Moreno rispondeva:
“Sono lieto del tuo
apprezzamento perché l’argomento era delicato e ho fatto di tutto per trattarlo
con tatto e sensibilità (dubitando fino all’ultimo di esserci riuscito),
scegliendo peraltro una storia breve per non sembrare compiaciuto nell’esibire
anch’io quel che nella realtà dell’epoca veniva appunto fatto oggetto di
esibizione. Questo magari mi costerà le critiche di chi avrebbe preferito
maggiore spettacolarità. Credo che lo spettacolo più bello, in questo caso, sia
il finale dove anche gli "uomini strani" trovano il loro posto nel
mondo”.
In risposta ad altri commenti positivi, Moreno precisava:
“Grazie, sono contento di
toccare nel profondo, quando ci riesco, e soprattutto sono lieto di spiazzare
(due tentativi che cerco di fare ogni volta). Riguardo ai mostri che non sono
quelli che ci si poteva aspettare, aggiungerei una annotazione.
L’uomo albero non l’ho
inventato io, esiste veramente, e Ferri si è ispirato, con dolore e commozione
di fronte alle reali immagini, a delle foto e a dei filmati autentici. Lo
stesso vale per i pinheads.
Peraltro, avreste dovuto sentire
quante volte Ferri mi ha chiesto dei consigli per riuscire nell’intento, comune
a entrambi, di non essere compiaciuti verso le deformità di esseri umani più
sfortunati di noi”.
“Grazie per i complimenti.
Non so se il pathos che ho cercato di usare (e che tu, bontà tua, mi riconosci)
basterà a convincere gli antispiegazionisti e i pim-pum-pamisti, forse quattro
o cinque pagine di spiegazioni ci sono anche qui, ma non riesco a immaginare se
qualcuno potesse preferire che non ci fossero nemmeno quelle. Come non so
capire se il dialogo è abbastanza terra terra da non infastidire chi non vuole
vedere neppure una parola appena appena più letteraria o desueta. Nolitta
diceva "smussare i punti di attrito", a me non sarebbe perdonato e
così faccio parlare Zagor in italiano basic per non infastidire nessuno,
talvolta però se ci sono personaggi con più cultura o diverso carattere (come
Mortimer o un professore o un dottore o un altolocato) mi pare che sia
indispensabile differenziare il vocabolario ma cerco di trattenermi, lo faccio
il minimo per non scadere proprio nell’omologazione. Spero che il dottor Sand,
comunque, non abbia esagerato nei termini medici. Vabbé, non importa, mi sforzo
di accontentare tutti anche se temo che sia impossibile. Almeno tu questa volta
sei stato accontentato e ne sono contento”.
In merito al prologo ambientato a
Philadelphia, ed evidentemente autonomo rispetto alla vicenda principale, Moreno Burattini forniva questi
chiarimenti:
“Il prologo ha un’origine
diversa e scollegata dal resto della storia, ma alla fine mi sembra che il
risultato sia non solo accettabile (recupera peraltro una vecchia tradizione
nolittiana dei "raccordi" a se stanti fra un’avventura e un’altra,
come nel caso di "Smiling Joe" o "Lo squadrone fantasma" o
anche "Il colle dei gufi") ma addirittura funzionale e prodromico al
seguito della vicenda.
Le cose sono andate così:
temevo che l’argomento "freaks" avrebbe creato qualche problema dato
che si parla di handicap e si mostrano deformità (non è un problema l’argomento
in sé, il problema è nel rischio di venire accusati di
"spettacolarizzare" il dolore altrui e far sembrare che ci sia
compiacimento nel mostrarlo, finendo per essere accomunati a mister Sterling
che lucra sulla sfortuna delle sue vittime). Però, dopo aver letto tanto e
visti foto e film mi sono convinto che il fenomeno dei freaks esibiti nei
circhi era del tutto storico e faceva parte dell’epoca al pari di tante altre
realtà che la serie era andata mostrando e denunciando (lo schiavismo, la
sottrazione di terre e di risorse ai pellerossa, le condizioni della manodopera
cinese nella costruzione delle ferrovie, la deportazione dei Cherokee, il
genocidio dei Seminoles, eccetera). Era, dunque, un argomento da trattare.
Questo il primo punto.
Secondo punto. Ferri
doveva fare una storia breve, per poi avere il tempo di disegnare lo speciale
del Cinquantennale. Mi è venuta in mente l’idea di fargli disegnare una storia
per un Almanacco: la cosa sarebbe servita anche per mettere a tacere quelli che
sono pregiudizialmente convinti che le storie dell’Almanacco sono di
"serie B". Ho chiesto presso le alte sfere se c’era un problema
nell’utilizzare Ferri per una storia breve destinata a quella collocazione, e
mi hanno detto: assolutamente no. Persino Diso, tanto per restare in tema di
Almanacco dell’Avventura, aveva disegnato almanacchi, e persino Civitelli.
Dunque, ecco l’ulteriore illuminazione: se avessi affidato a Ferri la storia
sui freaks che da tempo mi ronzava intorno, avrei potuto collocare l’argomento
fuori della serie regolare e dunque dare meno fiato alle polemiche se ce ne
fossero state (essendo meno sotto i riflettori), e allo stesso tempo avrei
potuto avere una storia "di serie A" per l’Almanacco, dando a
Gallieno il tempo per fare la storia del Cinquantennale. Inoltre, il dottor
Sand sarebbe tornato nell’Almanacco dove era comparso la prima volta, lontano
dalla collana Zenith, senza "infastidire" troppo i suoi detrattori
(incredibile, per me, ma vero, il dottor Sand ha dei detrattori, mi hanno
perfino detto, non so chi e non so dove, che qualcuno lo ha proposto per
l’elimimazione fisica tramite fucilazione). Dunque, forte di tutte questo
considerazioni, "Mostri!" è partita per essere collocata
nell’Almanacco.
Avevo, però, un altro
problema: Jonathan Clark. Sapevo di dover scrivere una storia con la resa dei
conti fra lui e Zagor. Era impossibile che Zagor tornasse a Darkwood e si
dimenticasse di Clark. Pensavo di dedicargli una storia il prima possibile.
Però, pensandoci meglio, era impossibile anche che cercare Clark non fosse la
PRIMA cosa che Zagor avrebbe fatto tornando a Darkwood. La cosa mi angosciava
un po’, e già immaginavo di dover mettere all’opera dei velocisti, come
Sedioli, o Chiarolla, o i Di Vitto, o Mangiantini, o Della Monica, per realizzare
una storia da collocare subito dopo il ritorno a Darkwood, o il più possibile
vicino al ritorno a Darkwood, per risolvere la faccenda. D’altro canto, era
anche difficile immaginare una storia davvero interessante con un personaggio
tutto sommato "minore" come Janathan Clark, un oscuro complice di
Mortimer che Zagor si sarebbe bevuto in due minuti. Non mi sembrava un villain
in grado di reggere una intera storia da solo, perciò progettavo di intessere
la caccia a Clark come sottotrama per un altro racconto.
Però poi le cose girano, e
girano tutte insieme, appassionatamente. La storia di Gambit aveva
evidentemente bisogno di una lunghezza diversa dai due albi standard. Allo
stesso tempo, mi pareva che fosse un peccato mortale tener lontano Ferri dalla
serie regolare per tutto il tempo che sarebbe passato tra Stephan e il numero
del Cinquantennale: già vedevo la rivolta dei lettori. E, devo dire, anche la
storia con i freaks mi sembrava piuttosto ben riuscita: stavamo riuscendo, io e
Ferri, a non dare l’impressione di compiacerci della deformità. Dunque: ecco la
soluzione a portata di mano!
Avrei unito l’episodio dei
Gambit con la storia dei freaks, allungando quest’ultima. E dunque il racconto
di Ferri avrebbe riportato Zagor a Darkwood. Ma allora... era l’occasione
giusta per risolvere anche il problema di Jonathan Clark! Che bella idea
(almeno ai miei occhi): Zagor salda il conto all’avversario ancor prima di
rientrare nella sua foresta: non sia mai detto che lo Spirito con la Scure
lascia in sospeso certi debiti (o certi crediti, a seconda del punto di vista).
Ecco dunque Ferri chiamato
ad aggiungere una sequenza iniziale a "Mostri!". Sequenza insolita,
non lo nego, almeno nei tempi recenti: ma perché la nostra serie dovrebbe
essere prevedibile? Pazienza per gli ipercritici, mi sono detto, tanto i
prevenuti troveranno comunque qualcosa a cui attaccarsi. Mi sono immaginato le
critiche: l’episodio di Jonathan Clark sarebbe stato scollegato con il resto;
Jonathan Clark avrebbe dovuto essere protagonista di una resa dei conti lunga
almeno due albi; è brutto vedere Zagor in città. Mi sono parse critiche
ingiuste. Anche i prologhi dei film di 007 sono (il più delle volte) scollegati
con il resto; c’erano dei precedenti nolittiani (già citati); e in ogni caso,
una tantum si possono fare (anzi si devono fare) anche delle eccezioni.
Jonathan Clark è un avversario minore, peraltro neppure un assassino o in gran
criminale, solo un truffatore: non c’è motivo di promuoverlo di grado (era in
fondo un burattino nelle mani di Mortimer), basta e avanza quel che Zagor gli
ha servito come lezione, tirarla di più per le lunghe sarebbe stato più
criticabile che risolverla così, secondo me. Anzi, un prologo così alla James
Bond avrebbe potuto persino piacere come trovata insolita (non a tutti, ma a
molti, e comunque mi pareva di avere argomenti per difenderlo). Quanto a Zagor
in città, la sua permanenza si riduce a così poche tavole che solo gli uggiosi
avrebbero potuto spazientirsene.
Insomma, dopo aver
soppesato i pro e i contro, ho seguito l’istinto e ho detto: si proceda!
L’idea che ho avuto per
risolvere il caso Jonathan Clark mi è parsa divertente, nelle corde di Ferri, e
significativa. Era un po’ mettere una pulce nell’orecchio del lettore sul resto
della storia: si comincia infatti con una atmosfera da mistero ultraterreno (la
seduta spiritica, la medium, il vento, la figura incappucciata) e poi si svela
che tutto è umano, troppo umano (per citare Nietzsche). Esattamente come nella
storia seguente...
Non solo: nella storia
"Mostri!", se si esclude il prologo, Zagor entra in azione con la
scure in mano solo a metà avventura (non mancano certo i fatti e gli
avvenimenti che si intrecciano, ma il nostro eroe non ha occasione di scontri
fisici prima di arrivare alla fattoria dei Kincaid). Con il prologo, eccolo
sferrare pugni già dopo pochissime tavole. Insomma: l’aggiunta, giovava al
racconto!
Così, sono arrivato del
tutto soddisfatto alla conclusione e tutti i lettori "eccellenti" che
hanno letto la storia prima dell’uscita (Canzio, Marcheselli, Boselli, Bonelli)
hanno espresso apprezzamento.
L’unica cosa di cui mi
dispiace, è che l’Almanacco è restato senza Ferri.
Ma non si può avere tutto
dalla vita…”.
Infine, alcuni appunti in merito alle
fonti di ispirazione della storia:
“Il proposito di dedicare
un racconto ai fenomeni da baraccone mi è venuto dopo aver visto in libreria un
saggio intitolato "I veri mostri", di C.J.S. Thompson, nell’edizione
degli Oscar Mondadori, con in copertina il ritratto di una nobildonna completamente
coperta di peli, figlia di non so quale principe o duca. In due sere il libro
era letto e la decisione di scrivere "Mostri!" era presa.
Quindi ho cominciato a
documentarmi con altri libri. Uno dei fondamentali è stato "Freaks: lo
sfruttamento delle anomalie fisiche nei circhi e negli spettacoli
itineranti", edizioni Logos, che raccoglie le più incredibili fotografie
d’epoca della collezione del giapponese Akimitsu Naruyama. Alcune delle foto
ritraevano degli attori del film di Tod Browning "Freaks", che aveva
usato dei freaks autentici. Dunque ho comprato (non senza qualche difficoltà)
questo DVD e l’ho visto, apprezzandolo molto. Ho anche recuperato e rivisto
"The Elephant Man", il film del 1980 diretto da David Lynch.
Il film del 1932 di Tod
Browning è stato soltanto un tassello nell’insieme delle fonti. Chiunque abbia
visto "Freaks" sa che la storia del film non ha niente a che vedere
con quella che ho raccontato su Zagor, dato che il film di Browning racconta
una vicenda di amore e tradimenti fra artisti di un vero e proprio circo (con
trapezisti e uomini forzuti, pagliacci e ballerine), e non c’è nessun freak
maltrattato o che fugge.
Casomai, la mia storia è
più debitrice verso "The Elephant Man". Ma nell’intento di
differenziarmi dal pietoso caso di John Merrick (questo il nome del vero Uomo
Elefante) ho cercato a lungo un altro tipo di malformazione e l’ho trovata
vedendo su "Focus" le foto dell’Uomo Albero. Mi sono documentato
sulla patologia che forma escrescenze sulla mani e sui piedi e ho deciso che, se
avessi saputo raccontare la cosa in modo nolittiano, e dunque senza
compiacimento nel mostrare la deformità, avrei potuto provarci.
Le uniche cose che ho
dovuto tagliare sono appunto il prezzo che volentieri ho pagato alla lezione di
Nolitta: chi guardi le foto di Akimitsu Naruyama o veda "Freaks" si
rende conto di quanto potesse essere facile suscitare emozioni sconvolgendo,
compiacendosi delle malformazioni dei più sfortunati (da notare che
"Freaks" è comunque un film "delicato" e non cade nelle
tentazione dell’orripilante esibito al disgusto altrui). Ho evitato i freaks
più sconvolgenti e mi sono attenuto a una storia zagoriana. Ho parlato spesso
con Ferri del problema di come disegnare i "mostri" e lui ha capito
subito come procedere”.
Caro Baltorr,
RispondiEliminaconcordo con Te. E' una della migliori storie della saga e tratta con umanità e rispetto i soggetti diversamente abili, senza mai cadere nello scontato e nel prosaico. Credo che solo Zagor e Cico tra tutti i personaggi del mondo Bonelli potessero farsi carico di narrare, con rispetto, tratto e simpatia, un mondo così diverso dal nostro ma non per questo alieno al nostro.
Non mi vergogno di dirti di avere pianto di commozione quando l'ho letta.
Un abbraccio. Giovanni21
Qualche luccicone agli occhi ti confesso che era venuto anche a me... Ricambio l'abbraccio, caro Giovanni!
EliminaMi si è inavvertitamente cancellato un post di Mauro Corti in merito alla presente storia, dopo che lo avevo pubblicato... Mi scuso con l'interessato e riporto il suo intervento qui di seguito (e attendo le vostre eventuali osservazioni):
RispondiEliminaMauro Corti ha lasciato un nuovo commento sul tuo post "Zagor Collezione Storica a Colori: Terrore nella foresta":
Buongiorno
Non discuto che il tema sia stato trattato molto bene e con delicatezza, e aldilà delle ispirazioni storiche, già in casa Bonelli si era trattato altrettanto bene su Dylan Dog. C'è solo una cosa che ho trovato un po' urticante rileggendo la storia sulla CSAC pochi giorni fa, ossia l'atteggiamento del Dott. Sand e di Thabita che tubano e festeggiano il loro ritrovamento di fronte ad un uomo che ha perso sua moglie a causa loro, seppure, beninteso, senza colpa. Mi è sembrato, in tanta delicatezza, un passaggio davvero malgestito.