mercoledì 22 aprile 2015

Zagor Collezione Storica a Colori: Il dio del male (ZCSC167)




        Il centosessantasettesimo numero, che troverete in edicola domani, contiene la conclusione dell'avventura di Zagor e la famiglia di Zeb Dowler, nonché la prima parte della storia “Thugs!”.


THUGS!

L’amuleto da cui la terribile strega Dharma deriva tutto il suo potere le è stato sottratto e, per ritrovarlo, la crudele sacerdotessa del dio Jagannath è disposta ad attraversare l’Oceano e a inoltrarsi nella foresta di Darkwood, dove sembra che il talismano sia nascosto. Una sfida mortale per Zagor, che però conta su alcuni alleati di tutto rispetto: il maggiore inglese Kellog, l’avventuriero Mac Quade e Ramath il fakiro.
Mac Quade svela a Zagor le ragioni che hanno costretto Ramath a lasciare l’India a bordo della nave del capitano Fishleg, braccato da Dharma. La temibile strega, affiancata dal rajah Kubal Singh e i suoi Thugs, ha varcato l’oceano per cercarlo nelle foreste di Darkwood, dove Mac Quade e l’ex maggiore Kellog hanno messo insieme un gruppo di miliziani a protezione del fakiro ferito. La battaglia appare disperata, e l’esito potrebbe essere drammatico per i nostri amici, se al piccolo manipolo di eroi non si unisse anche Zagor.
L’amuleto del dio Jagannath, che Ramath ha sottratto alla strega Dharma, ha il potere di far reincarnare Kalkin, l’ultimo Avatar della religione induista, colui che metterà fine alla nostra era. È questo lo scopo di Dharma e del rajah Kubal Singh, suo alleato, e Zagor, caduto nelle mani della sinistra megera, sembra non essere in grado di fermarli, né di salvare la sua stessa vita.

 Bellissima storia di ampio respiro che nasce da un soggetto congiunto di Stefano Priarone e Moreno Burattini, con sceneggiatura di quest’ultimo. Una grande avventura arricchita da molti coprotagonisti di rilievo e ben caratterizzati, tra cui molte vecchie conoscenze (Dharma, Ramath, Kellog, Kubal Singh e Mac Quade).
Intrigante il prologo, che dopo averci fatto rivivere una scena ormai entrata nella mitologia dei lettori zagoriani (Della Monica ha praticamente ricostruito alla perfezione la scena già vista nell’albo Dharma, la strega), ci rivela un illuminante dietro le quinte della vicenda. Ben fatta anche la sequenza del sogno di Zagor.
Per quel che riguarda i personaggi di Dharma e Kubal Singh, Burattini di fatto li approfondisce partendo dalle basi gettate a suo tempo da Nolitta. Forse la figura del Rajah viene messa in ombra da quella di Dharma rispetto a quanto accadeva nella storia precedente, ma in fondo è lei, coi suoi poteri magici, ad essere la vera antagonista. Che poi i suoi motivi si rivelino, alla fine, molto “personali” non va affatto a detrimento della trama. Una volta ogni tanto fa piacere vedere un villain che è più interessato al soddisfare la propria vanità che a conquistare il mondo!
Buona anche l’idea di raccontare le motivazioni che hanno portato Ramath a lasciare l’India per vagabondare per il mondo a bordo della Golden Baby, ed apprezzabile l’opera di “ripescaggio” di Martin McQuade (creato da Maurizio Colombo sull’albetto L’ombra di Kalì, allegato allo Zagor Speciale n. 11). Rimane sullo sfondo, invece il personaggio di Kellog, il cui ruolo, a conti fatti, consiste quasi esclusivamente quello del radunare gli uomini che poi dovranno combattere contro quelli del Rajah.
Al di là dell’appassionante sceneggiatura, ricca di momenti di azione e di tensione e con un duplice colpo di scena finale, ci sono a mio parere due elementi importanti da analizzare.
Il primo è il collegamento che viene operato tra le varie vicende “indiane”, in modo da farle convergere tutte in un’unica storia ed in un unico luogo, Darkwood. Inizialmente il tutto potrebbe apparire un po’ improbabile, ma alla fine gli autori riescono a sviluppare questo non facilissimo intreccio nella maniera più logica possibile.
Il secondo è la vicenda personale di Ramath. Chi avrebbe mai immaginato che il Fachiro inventato da Nolitta fosse in realtà un uomo in fuga, tormentato dai rimorsi per aver dovuto abbandonare l’amata terra d’origine e gravato da un’immane responsabilità? Ramath assurge così a ruolo di vero e proprio protagonista e non di semplice comprimario.
Insomma, una gran bella storia, arricchita dai disegni di un Della Monica sempre all’altezza della situazione.

Concludo riportando due interventi di Moreno Burattini sul Forum SCLS.
Il primo è in risposta alla “critica” che a un personaggio negativo come quello della strega indiana sia stato dato il nome di Dharma, un termine che sta ad indicare la “legge che tutti dovremmo seguire”…
Così scrive Burattini:
In realtà, secondo me, lo stesso Nolitta non ha preso il nome Dharma dalla parola indiana (hindi?) che significa Legge, ma dalla tigre di Tremal Naik nel romanzo di Emilio Salgari I misteri della Giungla Nera, ambientato appunto in India. Non credo che Nolitta sia stato ferrato in hindi, e immagino che sia appunto più facile pensare che, servendogli un nome indiano, abbia attinto dalla fonte più conosciuta dagli amanti dell’avventura, cioè appunto Salgari. Il quale chissà da dove ha preso quel nome”.
Il secondo intervento di Moreno è una spiegazione sull’apparente incongruenza che si riscontrerebbe nel finale della storia, laddove Ramath dichiara che l’amuleto verrà consegnato per sicurezza a Shu-Tze, il suo maestro tibetano, il quale sarebbe invece stato dichiarato morto nell’avventura Yeti!
Fermo restando che nessuno è perfetto e che di sviste e di errori ne commettiamo tutti a bizzeffe, io per primo e forse più degli altri, in realtà avevo ben presente Yeti quando ho pensato a Shu-Tze. So che lì lo si dava per morto.
Però, Shu-Tze mi faceva maledettamente comodo per trovare a chi affidare l’amuleto di giada al termine del racconto del ritorno di Dharma. Tutto pretendeva che fosse lui (a meno di non ricorrere a un santone noto solo a Ramath e inventato per l’occasione) a prendere in consegna la pietra magica. Quindi, almeno secondo me, Shu-Tze serviva vivo.
Ora: era certo che Shu-Tze fosse morto? No.
In nessuna scena di Yeti lo si vedeva morire.
Ramath aveva solo avuto un sogno da lui decifrato come un messaggio dall’oltretomba, ma lui stesso non era tanto convinto di aver decifrato bene (pagina 64 dello Zenith 323). Una conferma della morte del tibetano era stata solo dedotta a Ramath, senza però nessuna prova concreta. Di fronte a questi fatti, mi sono badato bene comunque dal far dire a Ramath, nell’Amuleto di Giada che Shu-Tze fosse vivo. Ramath dice che affiderà l’amuleto a qualcuno che saprà custodirlo e che andrà in Tibet per questo. Dato che Zagor sa di Shu-Tze, Ramath gli ricorda in due parole di chi sta parlando, appunto del suo maestro, ma non dice: è vivo e lo ritroverò.
Si può ipotizzare anche che Ramath torni in Tibet e trovi Shu-Tze morto di vecchiaia (anche nel caso fosse sfuggito a Krimhar). Dunque, è facile capire che Ramath pensa di andare in Tibet a consegnare l’amuleto a qualcuno della stessa scuola di Shu-Tze, il suo successore diciamo, nel caso lo stesso Shu-Tze fosse morto (cosa da appurare). Però spiegare a Zagor e ai lettori tutto questo senza cadere nello spiegazionismo non è tanto facile, e allora basta ricordare che Shu-Tze è esistito, che è stato un maestro di Ramath, che è custode di grandi segreti (come quello dei sette poteri), e far desumere che può essere vivo (non lo si è visto morire), che se non è vivo Ramath cercherà ugualmente di affidare l’amuleto a chi saprà custodirlo, qualcuno con le doti di Shu-Tze che intende rintracciare in Tibet (l’unico luogo al mondo, a mio avviso, in cui l’amuleto può essere custodito).
Dare per scontato che Shu-Tse fosse morto avrebbe tolto compiutezza alla storia, perché non sarebbe stato certo che ci fosse qualcuno di così saggio e puro in grado di custodire l’amuleto. Il riferimento a Shu-Tze invece rassicura il lettore, non ci fa dilungare in mille spiegazioni e congetture e non si scontra con nulla che si sappia con certezza (fermo restando che anche ciò che si sa con certezza nei fumetti non è certo, tant’è vero che Hellingen è risorto mille volte dalla tomba, e non è il solo). In una immaginaria scena successiva al finale dell’Amuleto di Giada si può pensare che Zagor abbia detto: eppure mi sembra di ricordare che Shu-Tze fosse morto; e Ramath spiegherà perché invece la morte non è certa (magari lui ha fatto indagini in proposito). Se Ramath dice che Shu-Tze è vivo, vuol dire che forse lo è.
Magari in una avventura futura ne sapremo di più, chissà.

3 commenti:

  1. Storia molto avventurosa appesantita magari qua e la dai flashback. Non manca l' azione e fa piacere rivedere di nuovo Ramath in un' avventura tutta sua invece che assieme alla ciurma della GB come ai tempi de "I sette poteri".
    Rispetto a "Tigre" Kubal Sing è meno sfaccettato e più spietato, anche se rileggendo l' avventura non lo si può definire un cattivo comune perché il suo obbiettivo è quello che far iniziare un nuovo periodo con l' India libera dal gioco britannico.
    Dharma invece che in quell' avventura sembra una fattucchiera del luogo agli ordini del raja e basta, diventa la vera mente e risulta decisamente diabolica!
    Come fatto notare se al posto dei personaggi della storia degli anni 70 ci fossero stati due personaggi nuovi sarebbe cambiato poco e forse sarebbe stato meglio.
    Quoto, molto positivo il riallacciarsi all' avventura dell' allegato dell' 11° speciale e far tornare il simpatico McQuade oltre a svelare il passato di Ramath o almeno una sua parte.
    Ultima avventura un po tosta del periodo. Per trovarne un' altra bisognerà aspettare il ritorno di Mortimer secondo me.

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  2. Salve, amico! Sai dirmi quanti pagine sono la avventura "Thugs" in questo Zagor a Colori 167? Grazie.

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