Il centoquarantunesimo
numero, che troverete in edicol domani, contiene la conclusione dell'avventura di Zagor sulla Lucky
Mermaid, la storia completa "La terra dei Cherokee", nonché le prime pagine della storia "Il
figlio perduto".
LA PAURA CORRE SUL FIUME
La Lucky Mermaid è una bisca galleggiante sul
Mississippi, il paradiso dei giocatori d’azzardo. Qui , Zagor e Cico incontrano
lo sfortunatissimo giocatore Tris di Sette, l’insondabile Colonnello (dal
misterioso passato) accompagnato dall’indio Raphael, il simpatico chitarrista
nero Fats e una loro vecchia conoscenza: l’affascinante Gambit!
Ma a bordo della Lucky Mermaid c’è uno
spietato assassino che taglia la testa alle sue vittime e le rimpicciolisce,
trasformandole in “tsantsas”, secondo l’usanza dei Jivaros.
Ma cosa ci fanno degli indios amazzonici in
Nord-America? E qual è il drammatico segreto del Colonnello? In realtà, costui
era un prete evangelico, missionario in Amazzonia, che è tornato negli Stati
Uniti insieme all’indio Raphael per vendicarsi dell’uomo che aveva sterminato
un intero villaggio Jivaros e che ora si cela sotto le spoglie di Andros,
l’armatore della Lucky Mermaid.
Zagor riesce a catturare Raphael, il
tagliatore di teste, e nello scontro a fuoco finale con i marinai il
Colonnello, Raphael e Andros muoiono. Zagor, dopo una notte d’amore trascorsa
insieme a Gambit, riprende il suo viaggio insieme a Cico...
Storia di ambientazione
fluviale disegnata da un ispirato Raffaele Della Monica, che vede
l’esordio di Maurizio Colombo ai testi della serie regolare dello
Spirito con la Scure, qui al suo debutto anche come unico autore di soggetto e
sceneggiatura (in precedenza aveva scritto il solo soggetto dello Speciale n. 7
La leggenda di Wandering Fitzy, sceneggiato da Burattini, e la
sola sceneggiatura dello Speciale n. 8 Anima nera, su soggetto di Boselli).
Nelle tematiche
affrontate, l’autore si dimostra a mio parere molto vicino alla sensibilità di Nolitta:
l’ambientazione fascinosa di una barca trasformata in sala da gioco
galleggiante, il ritorno di un personaggio spumeggiante come la bella Gambit e
la presenza di un comprimario di buon spessore come il Colonnello e il suo
servitore Raphael, riesce ad essere nel contempo convincente e avvincente.
Buona l’idea di
iniziare la narrazione con un flashback che svela qualcosa (ma non
troppo) del passato dei co-protagonisti dell’albo e dà qualche indizio sulle
loro motivazioni; la storia poi si sviluppa su tematiche misteriose e di
retroscena da svelare, con elementi decisamente macabri, con indizi
sapientemente sparsi qua e là e con il merito di tenere il lettore incollato
alla storia fino alla fine. Bello il saluto finale di Gambit in lacrime e il
modo in cui il rapporto fra lei e Zagor si evolve durante la storia.
Da notare che Della Monica, in questa storia, ha raffigurato tra
i giocatori che compaiono nella prima vignetta di pag. 65 del primo albo
originale diversi autori della Casa Editrice: Sergio Bonelli, Decio Canzio,
Mauro Boselli e Maurizio Colombo.
* * *
LA TERRA DEI CHEROKEE
Georgia settentrionale. I Cherokee di Satko sono
in pericolo: un affarista senza scrupoli, Lancaster, vuole impadronirsi delle
loro terre. I Cherokee si sono organizzati come nazione indipendente, ma
Lancaster asserisce di aver comprato le loro terre da un capotribù. Zagor,
però, recupera le prove per mandare in fumo il suo diabolico piano.
Lancaster, allora, fa uccidere il capo
cherokee Tahcee, facendo in modo che Satko venga accusato della sua morte.
Satko si rifugia da Sequoya, il saggio leader morale della nazione Cherokee, e
Zagor, aiutato dal giornalista Craig Turner, rintraccia il vero assassino di
Tahcee e scagiona Satko da ogni accusa.
La terra dei Cherokee, almeno per ora, è
salva!
Un storia di Burattini
ben raccontata, bellissima, emozionante, piena di riferimenti storici reali
che, tuttavia, non appesantiscono la narrazione.
Gli avvenimenti e i personaggi rimangono davvero impressi nella mente
del lettore: la discriminazione e il razzismo dei Georgiani ai danni dei
Cherokee, attuati con leggi ingiuste e inique, il ritorno di Satko e Linda, la
presenza di Sequoya, la descrizione della vita nei villaggi Cherokee, le
positive figure del giudice Lewis e del giornalista Craig Turner, e infine
l'abbietto e spietato Lancaster.
Molto bella la parte
del primo processo, con l’incertezza di non sapere se Zagor è riuscito a
svolgere il suo incarico, e molto bello anche il finale dove ogni personaggio
mostra alla perfezione il proprio modo di pensare. Drammatico l’assalto della
guardia georgiana alla capitale e splendide le parole di chiusura pronunciate
dal giornalista Craig Turner.
Un racconto in linea
con i grandi classici della narrazione zagoriana come Il Giorno della
Giustizia o Spedizione punitiva, anche se il finale triste viene
rimandato al drammatico sequel di questa avventura (il Maxi Zagor n. 2 La
lunga marcia, sempre di Burattini/Chiarolla, pubblicato nel
luglio del 2001).
I disegni di Chiarolla sono come sempre dinamici e funzionali,
perfetti nel ritrarre la realtà dei costumi dei pellerossa.
Così Moreno Burattini ha commentato, in un suo intervento del
febbraio 2004 sul Forum SCLS, questa sua sceneggiatura:
“Riguardo a La
terra dei Cherokee vorrei far notare come si tratti della prima storia
zagoriana in cui la tribù di Satko viene mostrata in maniera antropologicamente
corretta (almeno per quanto possibile in una ricostruzione fumettistica e
avventurosa, o almeno per quanto possibile a me - altri avrebbero forse saputo
fare di meglio). Nelle precedenti storie con Satko (soprattutto in quella
scritta da Toninelli), invece, i Cherokee erano stati mostrati vivere nei
tepee, come indiani delle praterie. Non solo io e Chiarolla abbiamo mostrato un
quadro più realistico della loro condizione, dato che era un peccato non
sfruttare la peculiarità dei Cherokee che era appunto il loro grado di
civilizzazione (Nolitta aveva inserito questo elemento facendo di Satko un
avvocato indiano, chiaramente avendo presente la figura storica di John Ross),
ma abbiamo anche fornito una spiegazione plausibile del perché in precedenza si
fossero visti accampamenti con le tende invece di case in pietra. Mi è piaciuto
molto aver potuto inserire nella storia il grande Sequoya, personaggio storico.
E anche Craig Turner, il giornalista, è ispirato a figure reali: l’articolo che
scrive alla fine del racconto riporta le esatte parole di un vero articolo
apparso su un giornale dell'epoca, riguardo alla questione Cherokee”.