Tra gli albi zagoriani di cui ultimamente è mancata la mia recensione su questo blog, vi sono anche quelli – tutti sceneggiati da Jacopo Rauch – che hanno visto il nostro Zagor prima unirsi al “figlio” del mitico Manetola nella Palude di Okefenokee in Georgia e quindi imbarcarsi con lui alla volta della nolittiana isola di Britannia (disegni dei fratelli Di Vitto); poi abbiamo assistito all’incontro dello Spirito con la Scure con il Capitano Nemo (disegni di Della Monica); infine, tornato sul continente americano, l’eroe di Darkwood si è trovato coinvolto in un’avventura di pirati al fianco di Digging Bill e dell’ex-pirata John Connor (disegni di Venturi).
Ebbene, in merito a questa breve trasferta caraibica ho avuto occasione di leggere nelle scorse settimane un bellissimo articolo dell’amico Cristian Di Clemente pubblicato sul blog “Siamo Agorà” (cui contribuiscono molti autori di uBC Fumetti). Dopo una premessa e una precisa dissertazione sulle grandi trasferte di Zagor, l’autore dell’articolo ha analizzato le tre avventure “rauchiane” apparse sulla Collana Zenith da aprile a ottobre di quest’anno con una serie di considerazioni che mi trovano totalmente d’accordo. Talmente d’accordo che – anziché scrivere una mia recensione – ritengo opportuno sottoporre alla vostra attenzione proprio la disamina fatta da Cristian (che ringrazio sentitamente per l’autorizzazione concessami), che trovate qui di seguito.
In ogni caso, vi consiglio di leggere anche l’articolo completo che potete trovare qui:
https://www.siamoagorà.com/fumetti/zagor-trasferte/
Per aggiungere qualcosa di “mio”, al termine troverete alcuna foto da me scattate alle pagine delle sceneggiature delle prime due avventure, che potrete confrontare con il risultato finale pubblicato sugli albi.
La prima storia (“La leggenda di Manetola”, n.693-696) è purtroppo la sola a concedersi un certo spazio, occupando quasi metà della trasferta, anche perché raccoglie la sfida di fare tornare Zagor e Cico nei luoghi di uno dei “testi sacri” nolittiani, a cui si accosta con grande rispetto per il racconto originale: quel “Libertà o morte” (n.89-92) in cui il popolo dei Seminoles, guidato da Manetola (grande amico di Zagor) andava incontro a un tragico destino sull’isola di Britannia, l’epilogo più sofferto di una storia di Zagor e per il nostro eroe un’esperienza drammatica probabilmente seconda soltanto alla morte dei genitori. Il pretesto è dato dalla comparsa di Chaka, sedicente figlio del condottiero che, a sua volta, ha imbracciato le armi per spingere i Seminoles alla rivolta, ma il cui vero obiettivo è tornare sull’isola per liberare gli ultimi superstiti della tribù di Manetola. La storia si prende tutto il suo tempo per introdurre i vari elementi, in perfetto stile nolittiano, dando così spazio ai dubbi di Zagor sulla propria missione, al suo senso di colpa per essere sopravvissuto all’amico Manetola e al confronto e scontro generazionale con Chaka, a cui darà un’importante lezione di leadership. Ma non solo: c’è anche la grande amicizia che lega Zagor a Cico, e quanto il pancione sia una presenza imprescindibile della serie al fianco del protagonista, capace non solo di strappare un sorriso per tenere alto il morale della squadra ma anche di veri atti di eroismo, salvando a modo suo la situazione quando tutto sembra perduto.
Se la prima storia della trilogia trae la sua forza da una visione complementare dei grandi classici della serie e dallo scavare a fondo nell’essenza dei due grandi amici Zagor e Cico, la seconda (“L’isola degli spettri”, n.696-698) rilancia la capacità della testata di trovare nuovi spunti narrativi nel tempo, facendola in questo caso attingere alla grande tradizione avventurosa letteraria. Zagor incontra così il Capitano Nemo (!), proprio quello originale di Jules Verne, che si rivela una figura perfettamente a suo agio con le caratteristiche della serie. Il tutto avviene grazie alle macroscopiche incongruenze cronologiche contenute nei due celebri romanzi di Verne, che consentono di presentare un tormentato Nemo all’inizio della sua avventura per i sette mari a bordo del Nautilus, compatibile con quello che ne “L’isola Misteriosa” (romanzo ambientato negli anni della guerra civile americana, vale a dire circa tre decenni dopo l’epoca delle storie di Zagor) era un uomo anziano. Un “difetto” della storia è che è troppo breve (due albi appena): l’episodio rappresenta infatti l’atto iniziale di una trilogia, sparpagliata nel tempo e scritta da autori differenti, e non propone pertanto una trama particolarmente epica o grandiosa. Resta comunque una storia godibile: la parte che precede la scoperta del Nautilus, con la crescente suspense che accompagna gli eventi misteriosi che si succedono, è zagoriana sino al midollo e anche l’incontro e lo scontro di vedute dei “due straordinari personaggi”, come recita una bella didascalia, non tradisce le attese. Da sottolineare infatti, in questa trasferta caraibica, il felice utilizzo di quei riquadri narrativi caduti in disuso ma che, insieme ai disegni, possono produrre un risultato combinato superiore alle singole parti… anche in questi tempi di veloce fruizione dei contenuti.
Nel terzo episodio della trilogia (“La Maledizione degli Incas”, n.698-699) la lunghezza scende sotto i due albi, comunque densi di avvenimenti e in cui l’esotismo dell’avventura aumenta grazie a una caccia a un tesoro maledetto. E se si parla di tesori non può mancare Digging Bill, il più avventuroso e ricorrente dei buffi comprimari nolittiani (anche nelle grandi trasferte passate), che con Cico dà vita a gustosi battibecchi, ma in generale tutti i protagonisti buoni, cattivi ed ambigui (come quella simpatica canaglia dell’ex-pirata John Connor, a cui sarò sempre affezionato per avere propiziato il magnifico ciclo africano) sono egregiamente calati nella propria parte.Tra i plus dell’episodio vanno segnalati anche la circolarità tra incipit ed epilogo, che richiamano tutto il fascino, anche macabro, dell’epopea della filibusta.