Il
centosettantaquattresimo numero in edicola oggi contiene la conclusione dell’avventura di Zagor a Derford, nonché la prima parte della storia “Neve rossa”.
GIUSTIZIA SOMMARIA
Zagor, Cico e il loro amico Fosbury si
trovano a passare per Derford, un piccolo centro del Vermont, dove si trovano
costretti ad ingaggiare battaglia con la gente del luogo per impedire il
linciaggio di Margit Veszi, una donna accusata di stregoneria, finendo per
essere assediati nella casa della presunta strega. La povera Margit,
un’immigrata vedova ungherese, è emarginata dalla comunità che la considera una
fattucchiera e le attribuisce la scomparsa di ben cinque bambini!
Zagor, facendo leva su qualche residuo di
ragionevolezza, riesce a ottenere una sospensione del linciaggio già in atto.
Trentasei ore. Un breve lasso di tempo per salvare la povera Margit dal
supplizio e risolvere il mistero dei bambini scomparsi.
L’unico indizio in possesso dello Spirito
con la Scure è che la scomparsa del primo bambino, Sean Ross,
potrebbe essere opera dei Tuscarora; parte quindi alla volta del villaggio indiano.
Ma appena si allontana, la scoperta del teschio di un bambino nella casa della
vedova ungherese eccita ancor più gli animi dei cittadini di Derford che
catturano Cico, Fosbury e Margit con l’intenzione di bruciare viva
quest’ultima.
Nel frattempo Zagor, dopo aver parlato con i
Tuscarora testimoni della morte del piccolo Sean Ross, scopre quale sia la
triste verità: è proprio la madre di Sean, Evelyn, anch’essa vedova, ad avere
rapito i fanciulli dopo la morte del figlio.
Fortunatamente i bambini stanno bene e Zagor
riesce tempestivamente a salvare dal rogo l’innocente Margit e ad impedire che
la gente di Derford si macchi di un orribile delitto.
Una storia più
breve del consueto (quasi un fill-in)
ma comunque dotata di un intreccio molto solido; il mistero sulla vera natura
della donna ungherese (sarà o no una strega?) e sulla sorte dei piccoli
scomparsi tiene il lettore incollato alle pagine dall’inizio alla fine.
La vicenda si
snoda senza pause, con continui colpi di scena, e Moreno Burattini è abile nel disseminare piccoli indizi che possono
permettere di giungere alla soluzione del mistero ma che si comprendono solo
alla fine.
Anche la caratterizzazione
psicologica dei comprimari è molto riuscita, soprattutto quella dei due
personaggi femminili principali (Margit e Evelyn) e dell’amico Fosbury: non accettano passivamente gli eventi ma li determinano, grazie
ad una gestione degli stessi calibrata sulle loro specifiche caratteristiche.
Nel finale,
positivo e amaro nel contempo, Burattini
non si lascia sfuggire l’occasione per ricavare una morale sulla non
accettazione del “diverso” (il medesimo tema lo aveva trattato solo qualche
mese prima nella storia dell’alieno Warzak) e sulla possibilità di ravvedimento
dell’uomo.
Quanto ai disegni, D’Arcangelo
– pur con qualche incertezza – raffigura ottimamente sia gli ambienti che i
personaggi, in particolare Cico e i guerrieri indiani.
Per concludere, riporto qui di seguito il soggetto originale di
Moreno Burattini relativo a questa storia. I cambiamenti di nomi e di
situazioni sono dovuti alle scelte diverse operate successivamente in fase di
sceneggiatura.
CACCIA ALLA STREGA
Soggetto per Zagor
di Moreno Burattini
Derry è un piccolo borgo cresciuto in pochi
anni grazie al continuo afflusso di pionieri in cerca di nuove terre. La sua
popolazione è eterogenea: famiglie giunte da ogni nazione europea con i flussi
migratori che continuavano a trasferire gente in cerca di fortuna dal Vecchio
Continente al Nuovo Mondo. Come accadeva in molti nuclei abitati di recente
formazione, l’amministrazione statale non aveva ancora provveduto a crearvi le
sue strutture periferiche: niente sindaco, niente telegrafo, niente sceriffo,
almeno per il momento. I coloni di Derry si amministrano da soli, con assemblee
pubbliche spesso dominate dall’irrazionalità.
Quando Zagor e Cico vi giungono per caso,
una di queste assemblee è in corso: i più facinorosi tra i coloni stanno
incitando la popolazione al linciaggio. Infatti, quattro o cinque bambini di
Derry, nei precedenti mesi, sono scomparsi: l’ultimo rapimento è avvenuto il
giorno prima. I sospetti di tutti sono puntati su una donna di origine
ungherese (chiamata Margit Veszi) che vive in una capanna fuori paese, accusata
di essere una strega. La donna avrebbe rapito i piccoli utilizzandoli come
vittime per le sue oscure pratiche negromantiche e le sue messe nere col
demonio.
Le famiglie dei piccoli scomparsi sono disperate,
e i padri fomentano l’odio della gente contro la presunta strega. Una delle
madri private del bambino, che chiameremo Shirley, non ha marito (è vedova): è
la prima a cui è scomparso il figlio. È l’unica che assiste alla scena restando
muta, come impietrita. Zagor la nota, e la giudica positivamente per come viva
il suo dolore con dignità, in silenzio, senza incitare alla vendetta.
La gente di Derry decide di mettere la
strega al rogo. C’è soltanto uno degli abitanti, tale Fosbury, che si oppone a
questo tipo di processo sommario: lui la conosce e la ritiene un tipo strano, è
vero, ma incapace di fare del male. I sostenitori dell’accusa però prendono il
sopravvento, picchiano Fosbury per metterlo a tacere e si dirigono verso la
casa della presunta strega per ucciderla.
Zagor interviene per evitare il linciaggio,
e ci riesce solo asserragliandosi con Fosbury e Cico all’interno della casa di
Margit Veszi: da lì minacciano con le armi chiunque tenti di avvicinarsi con
torce e forconi. Zagor perquisisce la casa, trovando oggetti a dir poco
inquietanti: libri con simboli strani, accessori di magia nera, resti
carbonizzati di animali. In più la Margit Veszi non collabora: sembra essere
fuori di testa, pronuncia discorsi dal senso ambiguo, pieni di oscuri riferimenti
e preoccupanti minacce. Si potrebbe sospettare che sia davvero una strega!
Fosbury continua a sostenere che la donna è
così strana perché ha subito numerosi shock: non ha mai accettato il
trasferimento dalla sua terra natale al Nuovo Mondo, ha visto morire i
genitori, eccetera. Gli indizi di pratiche negromantiche non dovevano
confondere le idee: facevano parte della cultura originaria della donna, là in
Ungheria, patria di molti zingari, certe cose sono comuni. Fosbury abita in una
fattoria poco lontano e sua moglie ha spesso cercato di allacciare contatti con
la povera donna sola e spaventata in un mondo ostile, e a volte c’è riuscita,
vincendo la sua diffidenza, la difficoltà della lingua, il suo carattere
scontroso.
La presunta strega, all’improvviso, cade
come in trance e comincia a snocciolare frasi dal senso oscuro, ma che
potrebbero essere indizi per ritrovare i bambini scomparsi. Il pericolo del
linciaggio ha acuiti i sensi medianici che la donna possiede davvero. Non ha grandi
poteri che vadano al di là di una vaga telepatia, ma fornisce a Zagor delle
indicazioni per cominciare un’indagine. Zagor parla agli abitanti di Derry:
loro sono certo in gran numero e riusciranno prima o poi a catturare la donna,
però in molti cadranno uccisi prima di riuscirci. Per evitare spargimenti di
sangue, Zagor chiede un giorno di tempo per svolgere delle indagini e trovare i
bambini scomparsi: se la sua inchiesta non darà frutti, la presunta strega sarà
consegnata a chi la vuole uccidere. Gli abitanti di Derry che assediano la casa
accettano. Fosbury e Cico restano a presidiare la costruzione, Zagor parte alla
ricerca di indizi.
Intanto, attorno alla capanna, gli abitanti
di Derry che stringono l’assedio sono molto nervosi e qualcuno comincia a
chiedersi perché attendere il ritorno di Zagor, dato che non ci sono dubbi sul
fatto che l’ungherese sia la strega responsabile della scomparsa dei bambini.
All’interno della costruzione, la donna, con gli occhi spiritati, fa strani
riti magici evidentemente rivolti a danno degli assedianti. Cico guarda
spaventato gli uomini fuori e la donna dentro e si chiede di chi debba avere
più paura.
Le indagini di Zagor portano intanto sulle
tracce di una banda di indiani: dalle oscure parole di Margit non si capisce
che cosa c’entrino, ma potrebbero essere stati loro a rapire i bambini (a volte
succedeva che i pellerossa lo facessero, o per farne schiavi, o per adottare
dei figli dato che le tribù si spopolavano). Affrontati gli indiani (con uno
scontro fisico, dato che i pellerossa, per un malinteso, non vogliono farsi
avvicinare), Zagor riesce a interrogarli: costoro negano di sapere alcunché dei
bambini scomparsi.
Però, all’improvviso, uno degli indiani
ricorda agli altri (e tutti lo ricordano) un episodio che li vide protagonisti,
ma in senso positivo. Una donna bianca con un bambino erano finiti nel fiume,
loro erano intervenuti per salvarli. Erano riusciti a evitare il peggio solo
per la madre, il figlioletto era annegato. La donna era sconvolta, fuori di sé.
Loro l’avevano lasciata sola con il suo dolore, a stringersi al petto il
piccolo ormai morto. Dalla descrizione degli indiani, la donna è riconoscibile
come Shirley, la vedova vista da Zagor a Derry.
Se dunque il figlio di Shirley è morto
annegato, perché la donna non l’ha detto? E che rapporto c’è fra questo fatto e
la scomparsa degli altri piccoli? Zagor decide di raggiungere il più presto
possibile la casa della vedova, che vive isolata in una fattoria fuori del
paese. Là, trova la donna completamente impazzita, che lo accoglie a fucilate
per impedirgli di avvicinarsi alla casa. Lo Spirito con la Scure, naturalmente,
riesce ad aver ragione della vedova e scopre il bandolo della matassa. Shirley,
il cui equilibrio mentale era stato seriamente compromesso dalla morte del marito,
era impazzita di dolore alla perdita del figlio. Incapace di arrendersi di
fronte a quest’ultima scomparsa, aveva rapito uno a uno quattro o cinque i
figli degli altri abitanti di Derry, quasi per sostituire il proprio. I bambini
erano tenuti prigionieri nella fattoria.
Zagor libera i bambini, che sono stati
accuditi con ogni cura dalla folle, e li riporta verso Derry insieme a Shirley,
che prima di lasciare la propria casa, tornata lucida per qualche minuto, si
reca a piangere sul punto dove ha sepolto il figlioletto morto. Ma Zagor torna
a Derry appena in tempo: prima che l’ultimatum sia scaduto, gli assedianti
rompono gli indugi: assaltano la capanna, mettono fuori gioco Fosbury e Cico,
si impossessano di Margit Veszi e, sempre più convinti che si tratti di una
strega, la portano nella piazza principale del paese. Costruita una pira
attorno alle sue gambe, le danno fuoco!
Zagor giunge in città con i bambini liberati
proprio mentre la donna si contorce fra le prime fiamme lanciando maledizioni.
Con orrore, Zagor balza sulla pira e la strappa al rogo mentre gli abiti già le
prendono fuoco, gettandola in un abbeveratoio. Quindi, rabbioso, mostra a tutti
i bambini ancora vivi, prova inequivocabile che l’ungherese non era una strega
né era responsabile delle misteriose scomparse. Stavano per uccidere una
innocente! L’odio cieco e irrazionale degli abitanti di Derry non è diverso
dalla follia della donna che, privata del marito e del figlio, ha rapito i
bambini altrui!
Restituiti alle loro famiglie i bambini
portati in salvo, Zagor sale con Margit sul carro di Fosbury: la donna deve
essere portata da un medico. Con loro prende posto anche la folle Shirley,
vigilata da Cico. Il carro se ne va, lasciando Derry sgomenta a riflettere
sull’accaduto.
*
* *
NEVE ROSSA
Una banda di indiani guidata dal feroce Scure che Uccide massacra
una famiglia di coloni sulle Green Mountains. Zagor e Cico, che
stanno seguendo la scia di sangue lasciata dai pellerossa, soccorrono l’unico
superstite dell’incursione e lo portano nella vicina cittadina di Cherry Town. Qui assistono al catastrofico arrivo del
loro vecchio amico barone Icaro La Plume a bordo di una innovativa mongolfiera di
sua invenzione, abbattuta proprio dagli indiani di Scure che Uccide che sono
intenzionati a valicare le montagne seminando morte e distruzione.
Mentre imperversa una bufera di neve, giungono
a Cherry Town anche tre sanguinari banditi, i fratelli Studd, anch’essi
desiderosi di passare al di là delle Green Mountains nel tentativo di sfuggire
agli uomini dello sceriffo Bristol. I fuorilegge rapiscono La Plume e lo
costringono a far decollare la mongolfiera nonostante la bufera. L’aerostato,
inevitabilmente, precipita sulle montagne.
Scure che Uccide e i suoi seguaci assistono
alla caduta della mongolfiera e decidono di assalire gli uomini che erano a
bordo; nel frattempo Zagor e Bristol uniscono le loro forze nella ricerca del
barone e dei fuorilegge.
Lo scontro finale renderà la neve rossa di
sangue, mentre la banda dei feroci pellerossa finirà sepolta da una valanga
provocata proprio da Zagor.
Doppio debutto del soggettista Diego Paolucci (con sceneggiatura di Moreno Burattini) e del disegnatore Gianni Sedioli proveniente dallo staff della serie bonelliana di
Jonathan Steele.
Il soggetto si distingue soprattutto per l’affascinante il luogo
di ambientazione di questa storia, un piccolo villaggio di frontiera arroccato
sulle montagne, in prossimità di un passo, che sta per essere investito da una
violenta bufera di neve che incombe, angosciante e inarrestabile, sulle diverse
vicende dei coprotagonisti: un terzetto di ladri e assassini, un gruppo di
indiani fuggiaschi e pericolosi, e un pioniere del volo qual è Icaro La Plume,
tutti personaggi ben gestiti dallo sceneggiatore nell’economia dell’avventura
pur non trattandosi – ad eccezione del nostro barone - di characters
indimenticabili.
Gli avvenimenti si susseguono in modo molto serrato e la storia
scorre veloce, con indiani e banditi egualmente pericolosi e Zagor impegnato ad
affrontare entrambi i gruppi.
Il risultato della sinergia tra Paolucci e Burattini è
quindi, a mio parere, sicuramente positivo.
Vorrei poi mettere l’accento su due aspetti particolari che, di
primo acchito, potrebbero sfuggire: 1) è apprezzabile che Moreno Burattini abbia introdotto nella vicenda alcuni riferimenti
che sottolineano la dimensione temporale in cui il fumetto è ambientato, in
particolare attraverso i discorsi dei pellerossa che vogliono raggiungere i
propri fratelli delle pianure che, a loro dire, vivono ancora liberi senza il
giogo della civiltà dei bianchi (così come effettivamente era nel periodo
storico intorno agli anni 1830-1840) e ciò nonostante nella serie vengano da
sempre utilizzate e rappresentate graficamente dalle armi automatiche o dalle
divise dell’esercito che sono tipiche di un periodo successivo (1870-1880); 2)
il barone La Plume viene presentato con il look
che aveva nella sua prima apparizione nella saga zagoriana e non con quello da
aviatore che indossava nelle sue successive apparizioni (meno realistico, se
vogliamo, da punto di vista storico), quasi che Burattini abbia voluto, per così dire, ritornare alle origini del
personaggio, mettendo tuttavia in secondo piano l’aspetto umoristico di cui lo
aveva dotato Nolitta.
In merito ai disegni di Gianni
Sedioli v’è da dire che sono nella migliore tradizione grafica zagoriana,
con tavole dinamiche, ricche di particolari e con un’efficace interpretazione dei
personaggi principali. Di grande impatto, in particolare, le scene finali in
mezzo alla tormenta.
All’osservazione di un forumista di SCLS che aveva notato un
eccesso di spiegazioni da parte dello sceneggiatore, Moreno Burattini così
rispondeva nel Marzo 2004:
“È ovvio che a me non pare
di esagerare nello spiegazionismo, altrimenti non lo farei. Io sono, di solito,
infastidito dalle storie con i finali aperti in cui non si capisce come vada
finire o dove tutto alla fine non è chiaro (sarà che sono della Vergine). Mi
piace e mi rassicura trovare e fornire una spiegazione logica a tutto. Credo
anche che se non cercassi di dimostrare, tramite qualche rapida spiegazione,
che certe cose sono tutto sommato plausibili o che c’è un motivo per cui accade
qualcosa o non accade, molti lettori o non capirebbero o si convincerebbero di
leggere vicende che non stanno in piedi e magari getterebbero via l’albo
indispettiti.
Continuo a ripetere che la
consapevolezza dei lettori che frequentano questo forum (e Internet è un mezzo colto
per discutere e approfondire gli argomenti) non ha niente a che vedere con l’approccio
alla lettura della maggior parte del pubblico zagoriano, che è sicuramente più
distratto e altrettanto sicuramente preferisce storie dalla decifrazione
rilassante in cui tutto sia chiaro (anche se non banale).
La maggior parte delle
correzioni che chiede Sergio Bonelli quando legge le storie va in questa
direzione: semplificare la comprensione di quanto accade, nei testi e nei
disegni. Di questo sono convinto anch’io: se capita qualcosa, si deve capire
come e perché, i fatti devono rispondere a una logica narrativa, mai ci si
dovrebbe soffermare a domandarsi il perché di qualcosa. Tuttavia, non è tutto
qui.
Io so di dover far leggere
la mia storia a dei lettori eccellenti, quali Decio Canzio e Sergio Bonelli. I
quali, lo so per esperienza, riempiono i margini delle tavole in lettura con
osservazioni puntuali e quasi sempre inappuntabili: perché costui si comporta
così? Perché non fa così? Come si spiega questo fatto? Le osservazioni di Decio
e Sergio rispondono, io credo, appunto al bisogno di prevenire le osservazioni
dei lettori, che loro sono in grado di prevedere perché da decenni si trovano a
farci i conti.
Il pubblico è sempre più
esigente e se in passato le obiezioni venivano scritte su lettere più o meno
piccate spedite in redazione, oggi alle lettere (che continuano ad arrivare e c’è
perfino chi scrive contestando come Sedioli ha disegnato le croci di legno
delle tombe e fornendo uno schizzo su come quelle croci avrebbero dovuto essere
costruite e quindi disegnate) si aggiungono i commenti sui forum e sui
newsgroup. Il che crea il fenomeno del cane che si morde la coda: per prevenire
le obiezioni dei lettori (o la loro mancata comprensione), Decio e Sergio fanno
i loro appunti allo sceneggiatore non abbastanza chiaro, e lo sceneggiatore (io
in particolare) per prevenire gli appunti di Decio e Sergio pecca di
spiegazionismo in modo che gli si possa obiettare il meno possibile.
Ma ciò non basta, perché
come viene qui dimostrato i lettori contestano anche lo spiegazionismo.
Cercherò, cercheremo, di trovare la giusta via di mezzo, che accontenti tutti. E
che tutti, invece, scontenterà”.
Anche Gianni Sedioli
era intervenuto su questa sua prima storia zagoriana, scrivendo così:
“Devo dire che il mio
approccio al mondo di Zagor è stato facilitato dal tipo di ambientazione che
dovevo rappresentare; prediligo, infatti, ambientazioni avventurose e spazi
aperti e soffro invece terribilmente gli spazi chiusi e stretti (chi ha provato
almeno una volta nella vita a disegnare sa cosa intendo).
Ho capito, dalla maggioranza
dei commenti e dalle diverse correzioni di redazione, che il volto di Zagor
deve essere il più vicino possibile al modello di Ferri, cosa che sto cercando
di seguire il più possibile nella nuova storia che sto disegnando sempre
scritta da Moreno.
Ringrazio anche quelli che
invece hanno criticato il mio lavoro, quando una critica è motivata e
costruttiva è per me sempre fonte di apprendimento”.