Giuliano
Piccininno nasce in una cittadina dell’entroterra salernitano,
Giffoni Valle Piana; negli anni settanta, mentre frequenta il Liceo Artistico
di Salerno, fonda con gli amici Giuseppe De Nardo, Raffaele Della Monica e
Maurizio Picerno lo Studio-CAF, primo nucleo di quella che sarà poi
definita la “scuola grafica salernitana”.
Dopo aver
conseguito il titolo di scenografo nel 1982 presso l’Accademia di Belle Arti di
Napoli, vara la rivista autogestita a fumetti Trumoon, grazie alla quale esordiscono anche altri giovani
disegnatori salernitani oggi noti quali Bruno Brindisi, Luigi Siniscalchi,
Daniele Bigliardo, Roberto De Angelis, Luigi Coppola; l’esperienza dura pochi
numeri, in quanto tutti gli autori trovano in breve lavoro presso vari editori.
Passa al mondo
del fumetto professionistico nel 1984 con Alan
Ford di Max Bunker, che disegna fino al 1987, anno durante il quale, in
seguito a concorso, entra in ruolo come insegnante di Disegno e Storia dell’Arte.
Stabilitosi a Valdagno, in provincia di Vicenza, inizia a collaborare
attraverso l’agenzia Epierre di Gianni Bono alle testate Masters of the Universe e Magic
Boy, realizzando anche lavori per la Disney. Nel 1990 viene coinvolto da
Della Monica nel progetto “Only west baby”, per il quale realizza la saga dei Texastrangers ed alcuni personaggi
liberi; a partire dello stesso anno disegna Tiramolla
(in quel periodo edito da Vallardi).
Dal 1992
lavora per il Corrierino (ex Corriere dei piccoli) disegnando le Tartarughe
Ninja ed i personaggi della Warner Bros. (Wile E. Coyote, Daffy Duck), per il
nuovo L'Intrepido su testi di De Nardo e per Starcomix, sulle cui
pagine ha dato vita ad un personaggio interamente suo, lo “skatenato” Ozzy, con avventure successivamente
raccolte in volume dalla Tornado Press.
Dal 1994 è
sceneggiatore e disegnatore di Arthur
King, l’insolito e fortunato personaggio di Lorenzo Bartoli e Andrea
Domestici.
Nel 1995
coordina per la Tornado Press il Progetto TRASH allo scopo di promuovere
disegnatori esordienti. Nel 1996 disegna e scrive storie per Prezzemolo, il draghetto mascotte del
parco di Gardaland e produce, con un team di autori (fra i quali i vicentini Alessandro
Gottardo e Gian Maria Liani), la serie supereroistica di Rave, pubblicata dalla Tornado Press.
Dopo queste
esperienze, con un’ennesima virata stilistica, scopre un’ispirazione realistica
che dal 1997 trova sfogo nella realizzazione di un nuovo personaggio per la Sergio
Bonelli Editore, il cacciatore di vampiri Dampyr,
iniziato nel 2000, del quale ha disegnato sinora nove storie.
Nel 2016
illustra un numero della collane Le
Storie, ambientato nell’antica Roma, mentre nel 2017 esordisce nello staff
di Zagor con una storia doppia
sceneggiata da Moreno
Burattini (Il grido della Banshee/L’araldo di Cromm). Suoi i disegni
dell’ultimo numero della miniserie Cico a
spasso nel tempo scritta da Tito Faraci.
In occasione
della prossima uscita della storia zagoriana da lui illustrata che porterà
Zagor e Cico ancora una volta nel mondo fantasy di Golnor (testi di Luigi Mignacco),
e che apparirà nella collana Zenith nei tre albi di maggio-giugno-luglio con i
titoli Ombre su Golnor, La compagnia degli audaci e La foresta incantata, grazie ai buoni
auspici dell’amico Fabio Sandonà, anestesista cinquantaquattrenne di
Schio (VI) ed assiduo lettore del blog “Zagor e altro…”, abbiamo avuto la
possibilità di intervistare presso il suo studio Giuliano Piccininno.
Più che
un’intervista si è trattato, in realtà, di una lunga e bellissima chiacchierata
con una persona davvero squisita… e questo è il risultato!
* * *
Giuliano
Piccininno è stato così gentile da ospitarci nel suo studio di Valdagno.
Scorgiamo sul tavolo di lavoro una storia di Zagor in fase di realizzazione,
notiamo una scrivania sulla quale sono appoggiati i tre plichi che
costituiscono le tavole originali di “Ombre su Golnor”, abbiamo alle spalle una
libreria stipata di libri, manuali, riviste e… sì, ci sono anche fumetti,
mentre sul muro di fronte sono incorniciati disegni originali di autori
italiani. Per finire, su una porta vediamo appesi due poster di Zagor.
D: Giuliano, vorremmo iniziare questa
intervista con una domanda di carattere personale: quali sono i casi della vita
che ti hanno portato da una valle del salernitano a una valle del vicentino?
R: Io sono
nato a Giffoni Valle Piana e proprio qui sopra c’è una contrada che si chiama
Piana. Potremmo dire che in un certo senso era destino. Allora lavoravo già nel
campo dei fumetti, ma avevo fatto domanda per insegnare e mi hanno chiamato dal
Liceo Artistico di Valdagno per una supplenza che nessuno voleva, perché erano
poche ore alla settimana. Per me invece era una buona cosa, perché, avendo
poche ore di lezione, potevo continuare la mia attività di disegnatore. Per
qualche tempo ho fatto base a Vicenza, poi mi sono trovato bene qui e ho messo
radici. Non è stato un passaggio traumatico: per scherzo dico che di vallata in
vallata è cambiata solo una consonante: dal Picentino al Vicentino
(ride).
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Faldone delle tavole originali di "Ombre su Golnor"
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D: Quali sono stati i personaggi dei
fumetti che hai letto da piccolo e che ti hanno fatto prima appassionare e poi
avvicinare al mestiere di disegnatore?
R: Prima di
tutto c’è stato Disney e il para-Disney, cioè i personaggi Bianconi: Tiramolla, Nonna Abelarda, Soldino,
il Braccio di Ferro della Bianconi.
Si trattava comunque di un passaggio obbligato per un ragazzino che negli anni
sessanta leggeva fumetti. E devo dire che anche Zagor e Tex sono passati
attraverso questo rapporto da “consumatore”. La folgorazione, invece, è avvenuta
con i supereroi. Quando ho visto cosa faceva Jack Kirby mi sono detto: “Qui si possono inventare mondi, anch’io
voglio fare queste cose!”. Allora la TV era in bianco e nero, poi aprivi un
albo a colori... era un’esperienza psichedelica!
Poi grazie alla
stessa casa editrice, la Corno, ho conosciuto Alan Ford e c’è stata la scoperta di Magnus, la ricerca dei suoi lavori precedenti e, in seguito, di
quelli successivi. L’ultimo tassello in questa mia ricerca è stato Giorgio Cavazzano, perché ogni tanto tornavo
a guardare i Topolino e c’era questo
disegnatore che mi piaceva moltissimo, che poi avevo ritrovato sul Corriere dei Ragazzi e su Il
Mago, dove aveva fatto Altai &
Johnson, una serie meravigliosa insieme a Tiziano Sclavi. Per mia fortuna questi ultimi due punti di
riferimento stilistici e di metodo, Magnus
e Cavazzano, ho potuto conoscerli
bene e apprezzarli anche come persone.
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Tavole originali di "Ombre su Golnor"
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D: Sei l’opposto di un disegnatore
autodidatta: hai frequentato prima il liceo artistico e poi l’Accademia di
Belle Arti. Chi ha seguito il tuo lavoro tra storie leggere e storie
realistiche sa che hai la capacità di adeguare lo stile del disegno al tipo di
storia; è il percorso scolastico che ti ha dato gli strumenti tecnici per
passare agevolmente dal realistico al grottesco?
R: Accademia
di Scenografia, in realtà. Credo di aver indovinato il percorso che poteva
darmi più nozioni possibili, sia per visualizzare ambientazioni, sia per
costruire una scena in modo credibile. Poi è stata una scuola che mi ha dato
anche un certo metodo, un’organizzazione mentale, che mi ha permesso di essere
un professionista già da molto giovane, perché a 23 anni mi ero trovato a dover
rispettare scadenze. Naturalmente bisogna essere fortunati e incrociare quei
due o tre insegnanti giusti.
Poi, tieni
conto che questa è l’epoca delle grandi specializzazioni. Anche chi vuole
aprire un profilo Instagram deve specializzarsi e pubblicare solo quella cosa
lì, se vuole che il suo profilo sia seguito. Idem per gli autori di fumetti;
per esempio, cosa ti aspetti da Manara?
Non che sia versatile, ma che faccia quello che tutti sappiamo essere
bravissimo a fare. Io invece sono cresciuto con quei disegnatori che erano
capaci di fare il drammatico, il nero, l’umoristico, il supereroistico. Uno di
questi è stato il grandissimo Wally Wood,
che era la quintessenza del mestiere, perché disegnava degli adorabili
pupazzetti (che magari facevano cose orribili, perché lui era un dissacratore),
ma era in grado anche di fare disegni di un realismo e di una rotondità
sconvolgenti. Ecco io mi ero convinto che per diventare bravi bisognasse saper
fare l’una e l’altra cosa.
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Tavole originali di "Ombre su Golnor" |
D: La “sensibilità artistica” per capire
qual è il modo giusto per disegnare una storia è innata o può essere affinata
dagli studi?
R: In questo
mestiere la capacità di visualizzazione è tutto. Ha un’importanza superiore
alle qualità tecniche, alla bravura nel disegnare, perché si tratta di
convincere il lettore che quello che sta guardando è del tutto plausibile. A
volte un bel disegno è distraente, ti porta a soffermarti sulla bellezza di
quello che stai guardando, ma non sullo svolgimento di una storia, non a capire
i sentimenti dei personaggi, non a comprendere il dramma o la scena comica in
atto. Come tutte le cose questa capacità si può affinare, però c’è sempre in
agguato quella tendenza a diventare pittori, a dire: “Che bella questa
vignetta, adesso ci aggiungo un alberello, una casetta sullo sfondo”, cioè
tutte cose che arricchiscono la vignetta ma appesantiscono la storia. Bisogna
riuscire a bilanciare perfettamente quei segni che si tradurranno poi in tempi
di lettura. È una cosa che si impara prima di tutto leggendo (quindi leggendo
tanti fumetti) e poi producendoli. Dopo tanti anni di lavoro penso di
essere in questo ormai sufficientemente bravo (ride).
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Tavole originali di "Ombre su Golnor" |
D: Quindi oggi sei ancora un lettore di
fumetti?
R: Ahimè sì lo
sono (simulando un’espressione contrita e indicando gli scaffali).
D: Vediamo che i tuoi strumenti di lavoro
sono quelli tradizionali: carta, matite, inchiostri. Non ti sei convertito alle
tecniche digitali?
R: Sì, ecco la
pennetta, la tavoletta è qui sotto, ma in realtà non le uso. Sono troppo
affezionato alla carta, mettiamola così. Resto molto legato a questo modo di
fare. Uso il digitale per qualche correzione: prima di inviare i file che
contengono le tavole, vado a riguardarmele con attenzione e,
confesso, faccio qualche correzione, che i collezionisti di tavole potrebbero
rimproverarmi, perché l’originale ha qualcosa di diverso da quello che è stato
pubblicato. Ecco mi sto autoaccusando di questa nefandezza (ride).
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Giuliano Piccininno mostra la mappa di Golnor
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D: Come sei entrato nel mondo di Zagor?
R: Credo di
esserci sempre stato dentro, in un certo senso. Io e Moreno Burattini ci conosciamo da tantissimo tempo e sempre ci
siamo detti: “Sarebbe bello fare un Cico assieme”,
perché lui è entrato in Bonelli
scrivendo proprio gli speciali di Cico.
Ma allora io ero molto distante da Bonelli,
facevo fumetti per bambini, le Tartarughe
Ninja, Prezzemolo, i Masters... Quindi il nostro era più un
sogno che un vero progetto. Poi pian piano lui è diventato curatore di Zagor, io sono entrato in Bonelli e mi sono trovato a disegnare Dampyr, quindi per un po’ ci siamo
frequentati sempre con quest’idea: “Ah, prima o poi faremo un Cico assieme!”. Sì, però intanto il tempo
passava, gli speciali di Cico erano
stati sospesi... insomma sembrava che non se ne facesse niente. Poi sono
arrivati I Racconti di Darkwood, che
offrivano nuove possibilità narrative, così gliel’ho riproposto: “Una storia di
Cico la facciamo, finalmente?” e lui
mi disse: “Ma perché non proviamo a fare una storia di Zagor?”. Io restai spiazzato: “Vabbè, vediamo, se vado bene...”. Ho
fatto le mie tavole di prova e sono partito con Zagor. Poi, neanche il tempo di finire quella prima storia, è
arrivata la miniserie di Cico, che è
stata la quadratura del cerchio: quello che avevamo ipotizzato molti anni
prima, finalmente si è realizzato. Quindi, è stata tutta colpa
di Cico (ride).
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Mappa di Golnor
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D: Ti sarai ormai reso conto che i fans
dello Spirito con la Scure sono attivissimi: scrivono fanzine che nulla hanno
da invidiare a riviste professionali, gestiscono siti web, organizzano raduni
di enorme successo. Ti sei dato una chiave di lettura della grande passione che
lega i lettori zagoriani al loro eroe?
R: Io non so
cosa accende negli animi delle persone Zagor
e il costume di Zagor, ma c’è
qualcosa di misterioso, di non del tutto indagato... Potremmo dire che è il “fascino
dell’avventura”. Sicuramente, ma quello ce l’hanno anche Tex, Corto
Maltese, ce l’hanno tanti altri personaggi, apparentemente più spessi, più
densi di storia. Zagor risveglia
qualcosa di fanciullesco e ancestrale in tutti noi. Non so spiegarmelo, però
anche quel giallo, quel rosso, quel blu, messi assieme... tutti colori
primari... Io mi chiedo come abbia fatto Ferri
a centrare fin dal primo numero qualcosa di così perfetto dal punto di vista
stilistico. I supereroi hanno avuto una loro evoluzione, il primo Superman saltava, il primo Batman era proprio
un pipistrellaccio, poi pian piano si evolve e il costume diventa quello
iconico che conosciamo. Deve essere successo qualcosa di magico, perché Zagor è iconico fin dalla prima
apparizione! E dopo poche pagine anche Cico
diventa quello che conosciamo: perde il sombrero, perde i baffoni spioventi e
diventa lui.
Ma io penso ci
possa essere anche qualcosa di psicoanalitico, perché mi sono fatto l’idea che
in Zagor ci sia quel sentimento di
ribellione tipico degli anni 60. Zagor
parte dal desiderio di Sergio Bonelli
di fare qualcosa di diverso, rispetto al tipo di fumetto che faceva Gianluigi Bonelli. È quasi un gesto di
ribellione verso la figura ingombrante del padre, quasi un tradimento verso un
certo tipo di fumetto, quello tradizionale. Tradire la tradizione, insomma.
Sembra un gioco di parole, ma invece è un processo necessario per la
crescita della persona, soprattutto per chi ha ambizioni creative. Per me
in Zagor, ancora oggi, c’è qualcosa
che viene dritto dritto dagli anni 60, da quel sentimento di ribellione di
molti giovani che dicevano: “No, io non seguo la strada di mio padre, non
voglio fare quella carriera, io ambisco a qualcos’altro”. Non è una ribellione
fine a se stessa, non è nichilista, al contrario è una ribellione costruttiva,
quasi a dire: “Questo mondo è brutto, questo mondo è pieno di ingiustizie, io
mi ribello contro questo mondo, ma la mia ribellione esprime una
necessità di giustizia sociale”. E dagli anni 60 questa istanza di
giustizia sociale viene traslata al mondo della frontiera di Zagor e da lì arriva fino a noi.
Però questi sono
discorsi troppo profondi per un disegnatore (ride).
D: Quella che sta per essere pubblicata è
la tua seconda storia di Zagor (più
un albo di Cico); possiamo dire che
sei entrato stabilmente nello staff dello Spirito con la Scure?
R: Se non mi
cacciano via dopo aver visto questa storia che ho scritto… (ride). Più
seriamente, io ero abituato a storie brevi, diciamo sulla quarantina di pagine,
quindi Zagor mi spaventava un po’, ma
dopo la storia di quasi 300 pagine, ormai sono pronto a tutto e sì, credo di
essere abile e arruolato (ride).
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Nuova storia in lavorazione
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D: Cosa ci puoi anticipare di questa nuova
storia zagoriana, che oltre a disegnare stai anche scrivendo?
R: Con Moreno Burattini ci sono sempre
sovrapposizioni di possibilità. A una fiera a Lugano gli ho fatto presente la
fatica di disegnare una storia di 300 tavole (quella di Golnor) e lui mi disse:
“Vabbè, la prossima volta magari ne fai una più breve, anzi
potresti scrivertela tu” e io di nuovo ho pensato ai Racconti di Darkwood. Poi ci siamo
riparlati e lui mi fece: “No no, ma quali Racconti
di Darkwood, intendevo un numero intero!” e io “Ah, sì, ok, vediamo”.
Perché un’ideina per una storia breve, un po’ spiritosa ce l’avevo,
ma una storia lunga, che va nella serie regolare deve rispettare certi canoni.
Infatti, pur essendo un vecchio lettore, in questa storia sto facendo fatica,
sto imparando il perché di certe cose che prima solo eseguivo,
magari lamentandomi un po’, dicendo: “Ma perché questa scena va tanto
per le lunghe?”. Adesso ho capito perché e me la scrivo da solo (ride), anzi mi
scrivo dei passaggi apparentemente noiosi da disegnare, maledicendo lo
sceneggiatore (che sono io), però capisco che fa parte di questo stranissimo
tipo di lavoro.
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Nuova storia in lavorazione |
D: Burattini ti sta col fiato sul collo?
R: No, no,
anzi Moreno ha una pazienza biblica.
Pensa che sulle prime gli ho presentato dei soggetti un po’ sconclusionati, nel
senso che mi piaceva l’idea di una storia che lasciasse il lettore con qualche
domanda alla fine. Lui invece mi ha fatto capire che il lettore di Zagor vuole una conclusione chiara,
senza dubbi su quello che è successo.
Quindi dopo
due o tre tentativi, Burattini mi ha
approvato questa storia un po’ romantica di un pittore che si è perso nei suoi
viaggi verso la frontiera in cerca della natura incontaminata. È una storia
piuttosto intensa, anche dal punto di vista storico, che inizia in Europa.
Ormai sono a metà e penso che per la fine dell’anno si potrà cominciare a
valutare quando potrà essere pubblicata.
D: Sia la storia de “L’araldo di Cromm” che
quella ambientata nel mondo di Golnor hanno come retroscena degli elementi
mitici o fantastici. È stato un caso che ti siano state assegnate proprio
questo genere di storie oppure il curatore Moreno Burattini lo ha fatto per un
motivo particolare?
R: Per il mio
esordio Moreno mi ha fatto vedere
tre soggetti: uno molto tradizionale con i trapper, uno con il ritorno di un
personaggio storico, e uno con una storia un po’ strana. Mi ha detto: “Guarda,
non so neanch’io bene dove va a finire”. Questa mi ha appassionato subito e l’ho
scelta. Lui mi ha avvisato: “Le altre storie sono pronte, questa devo ancora
scriverla, quindi te la manderò un po’ alla volta”. È stato un po’ complicato,
lo confesso, proprio perché la storia era in divenire, però mi pare che sia
riuscita molto bene.
Della storia
di Cromm avrei dovuto disegnare anche il seguito, ma a un Magnus Day a Castel
del Rio ho incontrato Luigi Mignacco
che mi ha detto che stava scrivendo la storia di Golnor e io ho pensato:
“Questa voglio farla io”. Così ho chiamato Moreno
dicendogli: “Senti, posso fare prima la storia di Mignacco e dopo il seguito de L’araldo di Cromm?” E lui mi rispose:
“Ma dopo quando? Guarda che quella lì di Golnor sarà lunghissima”. Ci ho
pensato un po’, però avevo troppa voglia di confrontarmi con questa storia,
perché la considero anche un segno del destino: è arrivata a me grazie a un
incontro casuale, in qualche modo propiziato dal maestro Magnus, che Mignacco e
io eravamo lì proprio per celebrare. Mi piace pensare che lui dall’alto abbia
detto: “Dai, disegna quella!” e io: “Ma è più faticosa!”. Però è stato proprio Magnus a insegnarmi il valore della
fatica, quindi...
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Nuova storia in lavorazione |
D: Le sceneggiature che ricevi sono
definitive o hai la possibilità di confrontarti con lo scrittore, magari per
modificare qualche sequenza?
R: È prassi
che il lavoro venga rivisto. Ci sono due eventualità. La prima è che il
disegnatore sbagli l’ambientazione, perché ha compreso male la sceneggiatura.
In questo caso il curatore glielo segnala immediatamente: “Guarda che quella
vignetta non va bene, quella striscia è da sostituire, attento che tal
personaggio fa un’azione diversa” e allora si corregge quello che serve.
Diverso è il caso in cui lo sceneggiatore, durante la stesura della storia, si
accorge che si può fare una variante, un arricchimento, e allora chiede al
disegnatore di togliere una striscia, di metterne un’altra, di aggiungere una
tavola o una serie di tavole in mezzo. Questa è una prassi molto creativa, ma
anche molto faticosa per il disegnatore, che era convinto di aver finito e
invece deve riprendere in mano il lavoro. Ovviamente si tratta di un lavoro
compensato, però è un lavoro estenuante.
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Nuova storia in lavorazione |
D: Può capitare che sia il disegnatore a
suggerire qualche variazione nella sceneggiatura, dopo averla letta?
R: Sì, però
questo è fattibile solo quando ricevi un cospicuo numero di pagine di
sceneggiatura. Allora capisci in che direzione va la storia e puoi
dare un suggerimento. Ma spesso capita che arrivino 4 o 5 pagine e in questo
caso diventa impossibile.
D: A detta degli sceneggiatori zagoriani,
rappresentare al meglio Cico è la
prova del nove e lo scoglio spesso insormontabile per chiunque voglia
cimentarsi con la testata di Zagor.
Per un disegnatore come te, invece, è stato difficile gestire questo
personaggio?
R: Mi diverto
a disegnare Cico! Nelle due storie
che ho già finito Cico è presente, ma
non è mosso come spalla comica, non ha molti momenti esilaranti in cui si
caccia in qualche guaio. Nella storia che sto scrivendo io, invece, ho introdotto
due o tre momenti, funzionali alla storia, dove fa qualcosa di buffo, ma senza
allentare la tensione del momento.
Uno di questi
momenti divertenti è proprio all’inizio della storia, quando il ritmo è ancora
blando, un preludio abituale, insomma, però ne ho piazzato uno anche in
una fase tristissima della vicenda, quando sono infreddoliti e demoralizzati in
cima a una montagna con la notte che arriva. Quindi se si sa giocare con i
contrasti c’è ancora spazio per Cico.
Poi è impensabile che, dopo tutto il tempo passato insieme a Zagor, non sia in grado anche di
impugnare una pistola, un fucile, di fare la sua parte nello sviluppo
drammatico di una qualche mischia. Sotto quest’aspetto si apre un mondo, perché
spesso le vicende di Cico avvengono
in solitaria, mentre io vorrei metterlo dentro l’azione, naturalmente senza
tradire il personaggio, che è un fifone patentato.
D: Torniamo ai casi della vita: la tua
storia che sta per essere pubblicata su Zagor,
seguirà quella disegnata da Raffaele Della Monica. Si ripete la staffetta di
quasi 40 anni fa su Alan Ford. Ci
avevi fatto caso?
R: Da quando
siamo entrambi professionisti è capitato più volte in diverse situazioni editoriali di
essere uno dopo l’altro; direi che non ci facciamo più caso. Nell’ambito di Zagor, Raffaele è di una bravura assoluta. Io sono uno che si sta
adattando a un certo modo di raccontare l’avventura, cercando anche di
attualizzarla, lui invece è legatissimo allo Zagor classico. Può darsi che chi apprezza le storie di Raffaele, rimanga indifferente a certe
soluzioni che applico io e viceversa. Pur essendo
cresciuti assieme abbiamo, dal punto di vista fumettistico, dei gusti
assolutamente differenti. Lui non ha mai capito Jack Kirby e non lo capirà mai; per lui la Marvel è John Buscema. Voglio dire che lui è
legato a uno stile classico e lo propone anche in un modo modernizzato, bello
dinamico, secondo me perfetto. Se un genio della lampada dovesse chiedermi: “Vuoi
che ti faccia diventare più bravo a disegnare Zagor?” gli risponderei: “Sì,
fammi disegnare come Raffaele”.
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Studio del personaggio
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D: Domanda marzulliana: oltre a disegnare
insegni al liceo scientifico; ti senti più un insegnante che disegna o un
disegnatore che insegna?
R: Ahi! Ahi!
Ahi! Io faccio tutte e due le cose assieme, nel senso che quando disegno sento
di applicare forme di comunicazione che ho sperimentato nell’insegnamento alla
lavagna. Allo stesso modo, nello spiegare ai ragazzi, porto qualcosa che ho
appreso nel disegno. Anche se spiego qualcosa di architettura, di prospettiva,
di assonometria, oppure se presento un dipinto di Piero della Francesca, lo
faccio con gli occhi di chi quel problema non lo ha visto solo sul piano
teorico, ma l’ha affrontato anche sul piano pratico, cioè ragiono anche in
termini di realizzazione, perché quando vedo un affresco o una scultura mi
chiedo: “Quanto tempo c’è voluto per realizzarlo?”. Vedo che spesso chi fa il
mestiere dell’insegnante ha una visione più teorica e astratta, quella di chi
ha studiato sui libri ma non si è sporcato le mani, non ha sperimentato cosa
vuol dire realizzare una certa opera.
D: Quanto ne sanno i tuoi alunni della tua
altra professione? Quando lo scoprono si dimostrano interessati?
R: Potrei
anche lavorare al circo Orfei ma a loro proprio non interessa (ride). Una volta
tutti leggevano fumetti da piccoli, oggi cominciano a leggerli, se va bene, negli
ultimi anni del liceo o all’università. Solo una minoranza dei ragazzi di oggi
scopre il gusto della lettura. Però ci sono stati alunni che sono tornati a
scuola dopo aver fatto l’università e mi hanno detto: “Sa, professore, ho comprato
questo, ho letto quell’altro, forte!”.
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Vignetta non utilizzata
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D: Siamo arrivati alla fine della nostra
chiacchierata; c’è qualcos’altro che vuoi dirci?
R: Di essere
pazienti con me, perché a Zagor
voglio bene e se lo disegno in un certo modo è semplicemente perché vorrei
dare un mio rispettoso contributo di rinnovamento alla sua lunga
saga. Magari qualche lettore potrebbe storcere il naso di fronte a uno Zagor troppo dinamico, troppo muscolare,
troppo qualcosa... Portate pazienza.
Caro Giuliano,
ci chiedi di essere pazienti quando invece noi siamo proprio impazienti di
leggere la tua prossima storia zagoriana e di ammirare i tuoi disegni. Come
Cico che annusa nell’aria profumo di arrosto, anche noi abbiamo l’acquolina in
bocca. Ti salutiamo e ti ringraziamo per la tua disponibilità.
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Fabio Sandonà
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E grazie anche
a Fabio per la sua passione fumettistica – e zagoriana in particolare –che ci
ha permesso di realizzare questa bellissima intervista!!!